Cultura

Colette Guillaumin, la natura sistemica di sessismo e razzismo

Colette Guillaumin, la natura sistemica di sessismo e razzismoAnnette Messager, «A mon seul desir»

Ritratti Scomparsa all’età di 83 anni, la sociologa è stata una grande teorica del femminismo materialista francese. Tra il 1977 e il 1980, ha animato il collettivo della rivista «Questions féministes»

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 16 maggio 2017

Quasi sconosciuta in Italia, in ragione anche della scomoda radicalità delle sue teorie, la sociologa francese Colette Guillaumin è morta il 10 maggio scorso. Le femministe di tutto il mondo perdono un’immensa intellettuale che ha teorizzato dalla fine degli anni Sessanta la natura sistemica, ovvero non accidentale, non psicologica di sessismo e razzismo.

Guillaumin ha svolto la sua carriera presso il Cnrs. Tra il 1977 e il 1980 ha animato lo straordinario collettivo della rivista Questions féministes. I suoi libri hanno la salutare virtù di essere schiaffi. Leggerli è uno choc: dissigilla lo sguardo, fa vedere ciò che, in mancanza di teoria, non si poteva vedere.

ATTRAVERSO UN’ANALISI storica e sociologica dell’idea di sesso e razza, Guillaumin teorizza e mostra che le donne e le persone non-bianche sono oppresse e che è l’oppressione che crea questi gruppi. Le sue analisi materialiste insistono sulla necessità di analizzare le relazioni sociali e non isolare le condizioni che esse producono.
Detto altrimenti, uomini e donne, bianchi e non-bianchi sono categorie che non hanno niente di «naturale» ovvero niente di eterno; sono classi antagoniste prodotte da forme sistemiche di dominazione, di sfruttamento, di appropriazione di una classe (di sesso, di razza) sull’altra. Impensabile, rivoluzionaria è la tesi sostenuta da Guillaumin in testi precursori, prodigiosi e ormai classici quali L’idéologie raciste (L’ideologia razzista, 1972), e Sexe, race et pratique du pouvoir. L’idée de nature (Sesso, razza e pratica del potere. L’idea di natura, 1992). Una tale visione caratterizza, più in generale, l’approccio della corrente femminista detta «materialista» che conta tra le principali esponenti Christine Delphy, Monique Wittig, Nicole-Claude Mathieu e Paola Tabet.

IL ROVESCIAMENTO di prospettiva praticato da Guillaumin e dalle femministe materialiste è totale: non ci fosse oppressione, sfruttamento, il marchio – il sesso anatomico, il colore della pelle – che sembra essere la prova della naturalità dei gruppi di sesso e di razza, non sarebbe socialmente pertinente. Sarebbe socialmente del tutto insignificante, come lo sono tutte le altre molteplici differenze che, su un continuum, differenziano un individuo dall’altro. Detto altrimenti, sesso e razza non sono fatti di natura, precedenti alla storia, ma categorie politiche prodotte da specifici sistemi di oppressione – il sessismo, il razzismo – differenti e interconnessi, che impregnano tutti i rapporti sociali, le categorie mentali e istituzionali in vigore. Si tratta, per Guillaumin, di due varianti dell’«ideologia naturalista», il paradigma interpretativo della realtà basato sulla credenza dell’esistenza di una «natura insita» dei gruppi di sesso e razza.

L’analisi di Guillaumin mostra che tale credenza è tanto solidamente radicata e accettata perché è prodotta da un’inscindibile interconnessione, in un rapporto di implicita complicità, tra ordine socio-economico e ordine categoriale, «due facce della stessa medaglia».

I TESTI di Colette Guillaumin hanno la virtù di essere vivi, aperti, inesauribili. Da un lato, ispirano senza sosta nuove ricerche. Sui processi di «razzizzazione», sulla costruzione eterosessualizzata dei corpi e delle coscienze, sulla performatività del linguaggio, sulla dominazione adulta. Dall’altro possono essere letti in un dialogo fecondo con altre teorizzazioni di sessismo, razzismo, eteronormatività, diseguaglianze di classe. Essi sono infatti un contributo imprescindibile alla prospettiva intersezionale, che guarda il mutuo riprodursi dei rapporti sociali di oppressione.

Oltre a possedere queste virtù teoriche e politiche, gli scritti di Guillaumin hanno il merito di essere una prova vivente di cosa significhi l’irruzione del femminismo come movimento politicamente e teoricamente rivoluzionario.
Far vedere ciò che non si vedeva, nominare ciò che non aveva nome, svelare il privilegio del gruppo dominante di definire la realtà e di percepirsi e farsi percepire come «universale», permette a tutti noi soggetti minoritari di passare dalla sofferenza individuale alla coscienza della posizione di classe che occupiamo.

SALTO VERTIGINOSO e necessario da cui nasce la possibilità di pensare che l’oppressione che subiamo non ha niente di naturale: malgrado la sua forza e ferocia, essa non è irresistibile. Da anni con Valeria Ribeiro Corossacz e Vincenza Perilli battagliamo senza successo per tradurre Guillaumin in italiano.
Ostinatamente, non molleremo l’osso. Ci pare un’impresa necessaria e di una straordinaria attualità nel periodo storico che stiamo attraversando in cui il discorso sessista, antifemminista, omotransfobo e il pensiero razzista tornano drammaticamente e vigorosamente alla carica e si banalizzano sempre di più.

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