Tutto il mondo è architettura. Ma, tutta l’architettura è anche progetto, che assume i contorni di progetto culturale quando cerca di avocarsi tutto il sapere e l’arte del mondo. Questo deve aver pensato (e progettato in uno dei suoi tanti eventi organizzati a celebrare i cento anni di esistenza) la direzione di Triennale Milano nel confezionare per un solo giorno – sabato scorso dal pomeriggio a notte fonda, un vero e proprio happening musicale diffuso in tutti i suoi spazi. Questa festa, perché tale è, ideata con Carlo Pastore, e lanciata con l’efficace claim “Tutto ovunque in una sola volta” e all’inglese “Everything Everywhere All at Once”, si è rivelata come un modo assolutamente inedito di portare all’attenzione di un pubblico, per lo più giovanile, dunque per definizione inclassificabile e sfuggente, quella cultura del progetto che non resta chiusa nelle riviste e nelle accademie e università, ma che s’apre al Pop: va osservato il poster del festival per capire subito l’indirizzo. Dunque, al caotico rimescolio organizzato di tutte le discipline artistiche della contemporaneità. Laddove per discipline s’intende il frequentare quegli incroci dell’Arte d’oggi che ibridano spettacolo e filosofia, musica e design, teatro e informatica. Tutti gli spazi più frequentati e quelli meno accessibili e nascosti della Triennale sono stati occupati da ogni tipologia di performance sonora, segnate da un flusso continuo e armonico dettato dall’accensione di mattonelle nei passaggi da un luogo all’altro, neppure le toilettes sono state risparmiate da stroboscopiche luci di dj set.

IL CLOU o il momento più alto, in tutti i sensi vale dire, è stata l’esibizione live di Colapesce e Dimartino sulla terrazza della Triennale. Il duo, baciato dal successo di Musica leggerissima e da collaborazioni illustri come quella con Ornella Vanoni, ha mostrato come si può far musica cantautorale ancor oggi con elementi musicali all’apparenza semplici e in vero ascoltati, quasi “naked”, raffinatissimi nell’intreccio narrativo dei testi. Veri e propri microracconti che ne esaltano la vena ironica, molto siciliana (la derivazione letteraria richiama molto il Brancati più celebrato), con riferimenti più o meno smaccati alle rispettive biografie e all’attualità. In poco meno di dieci brani, quasi tutti tratti dal loro album d’esordio I mortali, Colapesce e Dimartino hanno saputo giocare con il pubblico e con loro stessi dando origine a uno show a metà strada tra la stand-up comedy (in vero molto keatoniana e si sa che il cinema è altra loro passione) e un “unplugged” senza telecamere. A memoria si sono ascoltate canzoni come Splash, la struggente Luna araba (con una mezzaluna splendente nel cielo di Milano), la citata Musica leggerissima, Rosa e Olinda e la title track dalla colonna sonora del loro film La primavera della mia vita