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Coi Giugiù e gli Scisciò a Positano

Coi Giugiù  e gli Scisciò  a Positano

Cartelli di strada L'estate non è estate senza la riproposta televisiva, malgrado l’impoverimento della programmazione, di «Leoni al sole»...

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 30 luglio 2022

L’estate non è estate senza la riproposta televisiva, malgrado l’impoverimento della programmazione, di «Leoni al sole». Il film, girato e interpretato da Vittorio Caprioli nel 1961, nel tempo è diventato un classico: si ispira al romanzo «Ferito a morte», largamente autobiografico, dello scrittore napoletano Raffaele La Capria scomparso lo scorso giugno a quasi 100 anni di età. Costruita secondo uno schema sperimentale, la trama di quel libro (ogni lettore si è perso nell’incanto delle sue pagine) è racchiusa fra due piani temporali lontani appena un decennio. Un decennio dilatato però, a cui si dà la percezione di un salto generazionale per via del cambiamento profondo dei personaggi che popolano la narrazione: dall’evocazione ricorrente del sogno/ricordo delle simboliche «belle giornate» così come delle «grandi occasioni» (presto declinate a «occasioni mancate»), si passa all’impatto del protagonista con la realtà decadente rappresentata dall’incontro coi diversi sodali che pure un tempo ravvivavano la «bella giornata» e fornivano pretesto per la possibile «grande occasione». Il ritratto nostalgico del romanzo si fa tenero, se non patetico, nella trasposizione cinematografica in cui Caprioli rafforza il ruolo di protagonista del gruppo. Quell’insieme di amici, potenziali latin lovers (di vecchia scuola), che nell’esaltazione dell’estate in Costiera fra giornate prolungate al mare e serate sdolcinate al piano bar si ritrovano alle prese con avventurette galanti durevoli il tempo di una breve vacanza. Sullo sfondo, una Positano dormiente, per pochi, ancora estranea ai riti collettivi imposti dal consumismo. I personaggi si muovono con indolenza (anche fuori stagione, presumiamo) lungo un percorso di vita, dispersivo e fatuo, senza che producano nulla perché possa invertirsi. Per cosa? per responsabilizzarsi? La richiederebbe, tale inversione, la morale della società borghese di cui fanno parte e che finiranno per accettare. Vale la pena porre in risalto la figura fisica dei leoni (dagli artigli spuntati) sotto al solleone, quella figura che si palesa come manifesto di un’epoca (scorrono gli anni del boom, ricordiamolo… ma chi se ne accorge?): nessuno di loro raggiungerebbe i 35 anni; ma il portamento di ognuno, perfino in circostanze dinamiche come l’attività natatoria, li colloca senza sconti intorno alla mezza età. L’impressione si rovescerebbe se gli stessi, i vari Cocò, Sasà, Giugiù, Scisciò, Mimì (nomignoli che sono già un programma), venissero rivisitati in una riedizione filmica: benché la loro effettiva – ammettiamo – mezza età, essi apparirebbero, nel nostro tempo, dei prestanti 30-35enni che senza pensarci due volte definiremmo, ostentando finta convinzione, «ragazzi». Termine salvifico e illusorio che lasciamo circolare per la vanità di sentirci tutti più giovani.

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