Cogas, perturbanti donne-vampiro
Metamorfosi / 9 Nella terra di Sardegna, fra fate tessitrici («janas») e streghe malevole. Deledda ricorda che da bambina, spaventata, «turava ermeticamente ogni buco della serratura». Le radici di queste creature della fantasia popolare che ispirano ancora oggi artisti e scrittori, non sono forse da ricercare nella mitologia greca, in figure come le Lamie?
Metamorfosi / 9 Nella terra di Sardegna, fra fate tessitrici («janas») e streghe malevole. Deledda ricorda che da bambina, spaventata, «turava ermeticamente ogni buco della serratura». Le radici di queste creature della fantasia popolare che ispirano ancora oggi artisti e scrittori, non sono forse da ricercare nella mitologia greca, in figure come le Lamie?
Di tutte le leggende popolari della Sardegna quella relativa alle cogas, le streghe-vampiro, è forse una delle meno note. Perlomeno ai forestieri, alle cui orecchie non possono sfuggire, invece, le credenze legate alle janas, «piccole fate che durante la giornata stanno nelle loro case di roccia a tessere stoffe d’oro in telai d’oro». Chiunque si sia recato in viaggio sull’Isola non faticherà a riconoscere in questa citazione, estrapolata dal saggio di Gino Bottiglioni Leggende e tradizioni di Sardegna del 1922 (riedito da Ilisso, a cura di Giovanni Lupinu, nel 2003) un riferimento alle domus de janas, sepolture preistoriche scavate nella roccia che puntellano il paesaggio più segreto della Sardegna e che – come riferisce Grazia Deledda nelle Lettere ad Angelo de Gubernatis (1892 -1909) – si narrava fossero «abitate da piccolissime fate di un carattere e di un’indole tutta diversa dalle fate comuni». Sebbene le janas possano tramutarsi in creature malevole e persino essere identificate – secondo recenti ricerche etnografiche – con esseri che per riprodursi devono succhiare il sangue a bambini e adulti, l’ematofagia è inequivocabilmente il tratto distintivo delle cogas.
A METÀ OTTOCENTO, il nome coga viene spiegato prima dall’archeologo ed etnologo Giovanni Spano e poi da Vincenzo Porru, autore di un dizionario sardo-italiano, come equivalente di bruscia (dallo spagnolo bruja) ovvero «maga, strega» ma anche «affascinatrice e meretrice». Nel 1960 è Max Leopold Wagner a distinguere le due definizioni e a far derivare coga (che trascrive con la grafia koga) dal termine latino coquus. «Questa denominazione – scrive il linguista e filologo tedesco, studioso per eccellenza della lingua sarda – deriva dal fatto che le streghe e gli stregoni sogliono cuocere erbe e preparare filtri d’amore». In Fiabe e leggende nelle tradizioni popolari della Sardegna (Carlo Delfino editore, 2000) Enrica Delitala riferisce che le cogas possiedono una caratteristica somatica peculiare, che può essere una croce pelosa sulla schiena o più comunemente una coda, lunga un palmo e «somigliante – secondo quanto riportato dall’antropologo e storico della medicina Virgilio Atzeni – a quella del porco o del capro» (altre fonti la descrivono come una codina d’acciaio a forma di mezza falce). Inoltre, sia Delitala che Atzeni evidenziano che le cogas, «persone viventi» particolarmente attratte dal sangue dei neonati, sono avvezze a stringere un patto col demonio, che consente loro di cambiare aspetto, trasformandosi in animali di piccola taglia – gatto, moscone, uccello –, in fumo o in ghiribizzi tali un gomitolo di cotone. Per portare a compimento la metamorfosi e raggiungere di soppiatto la culla della vittima prescelta, le streghe-vampiro si cospargono il corpo di unguenti magici. Esse si accaniscono contro i bambini non battezzati, ossia coloro che si trovano in quello che Myriam Mereu definisce un «limbo sacrale che non li protegge dagli spiriti maligni o dal malocchio e non permette loro di essere accolti nella comunità». Alla comunità, in cui agisce e uccide, appartiene invece la coga, detta anche sùrbile nella Sardegna centrale e stria nella Gallura.
ALLE «SÙRBILES» ACCENNA Deledda in Canne al vento e in altri due romanzi. L’autrice ricorda che da bambina, spaventata da queste figure immaginarie di vampiri, fate maligne e infernali «turava ermeticamente ogni buco della serratura non potendo appendere la falce in capo al letto». Secondo la leggenda, le donne nate la notte di Natale a mezzanotte e le settime figlie femmine sono condannate a scontare la loro pena di donna-vampiro, che si interromperà solo con la loro morte. La società, tuttavia, non colpevolizza le cogas perché consapevole che il loro destino dipende dalla volontà divina. Come afferma Mereu, poiché le donne predestinate a diventare cogas non possono essere riconosciute e identificate, la metamorfosi diventa l’elemento del «perturbante» che causa sgomento nella comunità. Nel suo bel saggio sulle cogas nella letteratura e nel cinema sardi (Italianistica Debreceniensis XXIV, 2018), Mereu ricorda anche che l’Unheimlich (termine tedesco che traduce perturbante) ha un ruolo anche nella trasmissione orale delle leggende in quanto, nell’interpretazione di Sigmund Freud, indica «il rimosso, le paure ancestrali legate alla nostra infanzia, le superstizioni e le credenze represse che tornano dal passato sotto forma di spettri e creature inquietanti».
I RIMEDI CONTRO la strega-vampiro sono diversi: oltre all’uso della falce, che Wagner riprende da Deledda, anche la scopa, il treppiede, lo spiedo con la punta rivolta verso l’alto sono alcuni dei deterrenti più efficaci contro la visita delle streghe-vampiro durante le ore notturne. Alle storie sulle cogas sono connesse quelle riferite al santo invocato per tenerle lontane: San Sisinnio, raffigurato nella piccola chiesa campestre di Villacidro – paese per eccellenza delle streghe – mentre le tiene legate e soggiogate. Proprio a Villacidro, dove oggi esiste anche una casa-museo dedicata alle cogas, Bottiglioni ha registrato un racconto trasmesso da Amelia Pala su donne brutte che portavano unghie lunghe, erano coperte di cenci e succhiavano il sangue dei bambini. Una di queste un giorno si era mutata in gatto e recatasi a casa della nuora si era posta accanto alla culla dove dormiva il nipotino per ucciderlo. La madre del piccolo, accortasi del felino, lo aveva colpito con una mazza sulla testa e sulla bocca. Il giorno successivo al fatto, la colpevole viene riconosciuta proprio grazie alle ferite provocate dal bastone.
A VILLACIDRO è nata anche Michela Anedda, autrice del film d’animazione Cogas (2013), rilettura in chiave dark dell’antica leggenda delle streghe-vampiro realizzato con la tecnica dello stop motion. Nel cortometraggio, che rievoca le atmosfere delle favole gotiche di Tim Burton, si individuano tutte le peculiarità della coga, una strega che vive nel bosco e che di notte si trasforma in gatto per andare a succhiare il sangue dei neonati. L’abbigliamento della protagonista, così come gli arredi e le suppellettili della casa (tra cui le maschere del carnevale barbaricino) rimandano – seppur calati nella contemporaneità – alla tradizione sarda. Ma le radici di queste creature della fantasia popolare che ispirano ancora oggi artisti e scrittori, non sono forse da ricercare nella mitologia greca? Già Bottiglioni identificava le cogas con le Lamie, figure femminili dalle sembianze mostruose – menzionate anche nelle Metamorfosi di Apuleio – che escono di notte da anfratti e boschi per succhiare il sangue e divorare tutti quelli che incontrano. Nel ventesimo libro della Bibliotheca historica, Diodoro Siculo (I secolo a.C.) – che si rifà verosimilmente a una saga di carattere eziologico risalente ad Euripide, narra le vicende di Lamia, figlia del re della Libia Belo.
Amata da Zeus, con cui si era unita in un rapporto carnale, la principessa incorre nella gelosia «letale» di Era, che uccide (o, secondo un’altra versione, la induce a uccidere) i figli generati da quell’unione. Accecata dalla rabbia, Lamia uscirà tutte le notti per uccidere i figli altrui, talvolta ancor prima della nascita.
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