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Codice rosso contro i femminicidi, i ritardi della polizia giudiziaria

Codice rosso contro i femminicidi, i ritardi della polizia giudiziariaManifestazione contro la violenza sulle donne – Aleandro Biagianti

Violenza di genere Il dibattito sul "codice rosso", dopo l'uccisione di Vanessa Zappalà da parte dell'ex compagno

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 28 agosto 2021

L’omicidio di Vanessa Zappalà ad Aci Trezza riapre il dibattito sulla legge che ha istituito il cosiddetto «codice rosso» contro la violenza sulle donne, entrato in vigore nell’agosto del 2019. Alcuni limiti del provvedimento sono emersi soprattutto sul versante della preparazione della polizia giudiziaria. L’articolo 5 della legge, infatti, prevede esplicitamente l’obbligatorietà di corsi di formazione specifici sul tema per le forze dell’ordine: il problema è che, complice anche il Covid, questo tipo di percorsi sono partiti a singhiozzo ed esclusivamente sulla base della buona volontà delle singole questure. Si aspetta un intervento della cabina di regia interministeriale sulla violenza maschile contro le donne, che però si muove con estrema lentezza.

I numeri, ad ogni modo, testimoniano che il codice rosso ha funzionato, ma solo fino a un certo punto: nel primo semestre del 2020 (ultimi dati disponibili) le richieste d’intervento per liti in famiglia pervenute nelle 105 questure italiane sono state 16.381 contro le 14.760 registrate nell’anno precedente. Numeri in crescita, sì, ma non tanto quanto ci si aspettava, mentre il numero dei femminicidi non è affatto calato.
Soltanto ad agosto le vittime sono state otto, un campanello d’allarme chiaro sul funzionamento del codice rosso, che presenta numerosi problemi di applicabilità. Gran parte della legge, infatti, si concentra sulle fasi iniziali della violenza (o della persecuzione), lasciando la vittima sostanzialmente sola in quelle successive.

L’emendamento alla riforma del processo penale presentato dalla deputata di Iv Lucia Annibali sull’arresto in flagranza per chi viola le misure di protezione affronta il problema ma non lo risolve: a questo punto non ci si dovrebbe arrivare, ovvero bisognerebbe evitare che la vittima si ritrovi nuovamente in una situazione di rischio.

Valeria Valente (Pd), in un’intervista rilasciata a Repubblica, sostiene che «magari con un braccialetto elettronico, Vanessa sarebbe ancora viva». Sulla necessità di mettere Tony Sciuto, l’assassino di Vanessa, ai domiciliari o direttamente in carcere, a leggere, l’ordinanza che invece gli ha imposto un «semplice» decreto non avvicinamento, va detto che il giudice ha deciso di tener conto di un incontro consensuale avvenuto tra i due nelle scorse settimane: difficile, su questa base, calcare la mano oltre quello che è stato fatto.

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