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Coalizione sociale, uscire dai bizantinismi

Coalizione sociale, uscire dai bizantinismiUna manifestazione di lavoratori della fabbrica Putilov a Pietrogrado durante il febbraio del 1917

L'intervento La discussione su «coalizione sociale» e «coalizione politica», come quasi sempre succede nel travagliato mondo della «sinistra», rischia di avvilupparsi in un intrico di bizantinismi verbali. A costo di usare […]

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 17 aprile 2015

La discussione su «coalizione sociale» e «coalizione politica», come quasi sempre succede nel travagliato mondo della «sinistra», rischia di avvilupparsi in un intrico di bizantinismi verbali. A costo di usare l’ascia invece del bisturi cerchiamo di sfoltire il groviglio e far emergere gli elementi davvero importanti di dissenso e di consenso.

Mi sembra che, nonostante il percorso continui a rimanere accidentato, le ragioni del consenso stiano diventando prevalenti rispetto a quelle del dissenso, e che le forze (o meglio debolezze) che si muovono, abbiano maturato una consapevolezza largamente comune. La convinzione che, senza un deciso salto di qualità in tale direzione, qualsiasi spazio in cui far crescere un minimo di efficacia oppositiva alla versione italiana della «nuova ragione del mondo» è destinato a chiudersi rapidamente e per tempi prevedibilmente assai lunghi. La convinzione che la crisi della rappresentanza dei subalterni sia, come dice giustamente Revelli, «sociale e politica insieme».

E che cosa è un soggetto che si prova ad invertire i meccanismi di una crisi di tale portata se non un «soggetto politico»? E si può davvero sostenere che la «coalizione sociale» sia cosa «altra» rispetto a tale soggetto?

Torno sul punto del mio precedente articolo (il manifesto 28 marzo) poi ripreso da alcuni successivi contributi su queste pagine. Sottolineavo che nella storia del movimento operaio, della quale «una sinistra che non ha il coraggio di dichiararsi erede non merita di esistere» (Tronti), c’è un tornante decisivo: l’esperienza dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori.

Naturalmente il rapporto tra le due sfere («coalizione sociale» e «coalizione politica») non si esprimeva nei termini di oggi, ma la sostanza del problema riguardava la tensione tra sfera economico-sociale e le forme della politica. In quel contesto la «coalizione sociale» era facilmente configurabile nell’ambito di quella parte della classe operaia organizzata in Unions. Nel corso della vicenda della I Internazionale l’ostilità di settori anche importanti delle Unions contro le forme istituzionali della politica ebbe carattere rilevante.

Un autorevole membro del Consiglio generale dell’Internazionale, Karl Marx, nel corso di tutta quella fase si impegnò particolarmente ad analizzare i meccanismi di tale tensione e ad indicare i lineamenti del «soggetto politico». Egli ribadì sempre il carattere di per sé politico della lotta sociale, sostenendo che elaborazione intellettuale e proposta politica andavano compenetrate, pena condannarsi alla sterilità ed all’utopismo settario. Nel contempo, però, si adoperò a delineare il sistema di relazioni tra tutte le diverse forme della politica ed indicò esplicitamente anche la necessità per le Unions di organizzarsi in «partito politico», sottolineando che non esisteva un solo modo per fare politica, e che bisognava comportarsi «secondo le condizioni di tutti i paesi».

Il partito politico così come Marx allora lo concepiva non ha coinciso con le tradizioni della II e della III Internazionale e tanto meno con i comitati elettoral-affaristici padroni del nostro orizzonte politico-istituzionale. Tutto ciò attiene, però, alla storia delle diverse forme partito, e non al partito in sé, ritenuto da Marx strumento essenziale. Ed anche quell’insieme che potremmo tradurre come «coalizione sociale» non può esser fatto coincidere con l’insieme di cui stiamo attualmente discutendo. Nonostante che anche allora Unions, chambre syndicale, Società di mutuo soccorso, ecc. fossero cose diverse, tuttavia erano tutte espressioni dell’universo Labour. Oggi evidentemente non lo sono, sebbene le aspirazioni, i progetti, gli obbiettivi di quasi tutti i «movimenti», proprio come succedeva per le forme associative di allora, non possano che scontrarsi con le logiche della fase di accumulazione capitalistica in corso.

Viale (il manifesto 11 aprile) ha ragione quando delinea una sfera «sociale» non limitata all’universo Labour, alle sue articolazioni sindacali. Forse, però, dovrebbe riflettere sul fatto che si trattava, appunto, di un «universo», frammentato, estremamente complesso, con stratificazioni culturali e di linguaggio assai diverse, spesso anche in contraddizione tra di loro. Ed il problema della costruzione di un «soggetto politico» si poneva certo su scala diversa, ma non in termini qualitativamente diversi rispetto a quello che ci troviamo ad affrontare.

Si trattava (e si tratta) di costruire un «soggetto politico» che non era (non è) un partito politico, né un insieme di Unions (oggi la «coalizione sociale»). Partito politico ed Unions rimangono strutture portanti del «soggetto politico», ma separatamente lo negano. Inoltre nessuna di queste componenti strutturali ha il monopolio della dimensione economico-sociale o di quella politica. Il sociale ed il politico sono appannaggio di ambedue le sfere e il loro modo di combinarsi non è deciso a priori, bensì dai percorsi costruttivi del «soggetto politico».

In questo senso l’esperienza della lista Tsipras per le elezioni europee può considerarsi esemplare. Dopo la raccolta delle firme, le componenti della lista avevano subito una trasformazione rispetto al momento dell’inizio del percorso: non erano più le stesse. Considerare il momento attuale di quel percorso come caratterizzato da «deriva burocratica e autoritaria» (Viale) sembra evocare l’accusa rivolta, proprio con gli stessi termini, al Consiglio generale dell’Internazionale da parte di coloro che esaurivano la politica dei subalterni nell’ambito della sfera economico-sociale. La costruzione di un «soggetto politico» che per più di un secolo ha costituito il limite alle tendenze illimitate del modo di produzione dominante ha preso, però, la strada indicata dal Consiglio generale.

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