«Io credo che l’opera del presidente Mattarella sia sempre utile – ha detto ieri Ignazio La Russa -, ma credo anche che la fermezza del nostro governo debba essere condivisa». Se più importante della telefonata tra Macron e Mattarella (di tre giorni fa) è il fatto che sia stata ufficialmente resa pubblica (ieri mattina), è alle reazioni politiche che bisogna prestare attenzione. In particolare a quelle dell’area governativa, nella quale ormai stabilmente si colloca il presidente del senato. Dopo aver visto La Russa alle riunioni e nella sede del suo partito, noncurante del suo ruolo di presunta garanzia, eccolo adesso spingersi a fare le glosse al presidente della Repubblica. La seconda carica dello stato che corregge la prima. Addirittura che la richiama al dovere di lealtà con il governo.

Non è l’unico episodio. Anche il presidente dei deputati di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti, ha dato il suo contributo alla scortesia istituzionale, volendo rispondere a reazioni di segno avverso, di ostentato entusiasmo per la mossa del Quirinale. Soprattutto i rappresentanti di Azione-Italia Viva – forse per ricordarci di aver posto un riferimento a Macron nel loro simbolo elettorale – hanno ecceduto in dichiarazioni, per esempio Matteo Richetti si è incaricato di riferire di un «imbarazzo» del Quirinale per «l’approssimazione del governo». Al che Foti si è sentito in dovere di «sottolineare che l’agenda dell’esecutivo l’hanno dettata gli italiani il 25 settembre e questo non andrebbe mai dimenticato».

I principali rappresentanti nelle istituzioni del partito della presidente del Consiglio sono dunque – e di già – a un passo dal far notare al presidente della Repubblica che i voti li hanno presi loro. E questo nonostante Mattarella sia stato costretto a intervenire proprio perché il governo si era infilato in un pasticcio, cosa peraltro abbastanza candidamente ammessa da Meloni nella conferenza stampa di venerdì e da Tajani anche prima, quando ha parlato di «reazione eccessiva» della Francia. Mattarella, oltre tutto, nella telefonata con Macron non è entrato nel merito dei dossier ma si è solo preoccupato di abbassare la tensione e tenere aperto il canale di dialogo che fortunatamente c’è tra il Quirinale e l’Eliseo.

Una maggioranza meno nervosa e meno settaria avrebbe ringraziato, non fatto trasparire la sua stizza.

Invece abbiamo probabilmente sentito suonare la prima campana d’allarme della coabitazione tra un presidente della Repubblica che è nel suo secondo – dunque eccezionale – mandato, e una presidente del Consiglio che nove mesi fa non solo non lo ha votato, ma ha definito «incomprensibile» votarlo. In più questa maggioranza sta per aprire il capitolo più pericoloso per la coabitazione, quello della riforma costituzionale che proprio sull’elezione diretta vuole fondare la legittimazione del capo dello Stato. La tensione tra Quirinale e palazzo Chigi potrà solo aumentare e la pressione politica sarà tutta sull’istituzione più elevata.