Clima e pesticidi sono i killer delle api
Italia Nove milioni di api sono state uccise quest’estate dagli insetticidi impiegati nelle colture di mais tra Brescia e Cremona. Svanito l’effetto Covid
Italia Nove milioni di api sono state uccise quest’estate dagli insetticidi impiegati nelle colture di mais tra Brescia e Cremona. Svanito l’effetto Covid
«Le api sono al collasso. Quello che pensavo sarebbe successo nei prossimi anni sta succedendo proprio ora sotto ai miei occhi», è la drammatica constatazione di Andrea Savorani, un piccolo agricoltore «biodinamico» e apicoltore faentino che ha visto morire in pochi mesi l’80% delle sue api.
UN FENOMENO PURTROPPO DIFFUSO: agricoltura intensiva, pesticidi, degrado del suolo e frammentazione degli habitat, cambiamenti climatici, parassiti patogeni, monocolture che diminuiscono la varietà dei fiori, sono tante le ragioni del declino delle api (Ispra, maggio 2020). Negli ultimi cinque anni sono scomparsi 10 milioni di alveari nel mondo, quasi 2 milioni l’anno, oltre 200.000 solo in Italia.
SE NEI PRIMI MESI DEL 2020, durante il lockdown, le api se la sono cavata abbastanza bene, grazie al minor inquinamento, agli sfalci diminuiti e alla maggior presenza di fiori sui bordi della strade, la siccità estiva poi le ha colpite duramente, e i pesticidi non hanno mai smesso di mietere vittime: oltre 9 milioni di api sono morte ad agosto 2020 a causa di insetticidi impiegati erroneamente nelle colture di mais, tra le province di Cremona e Brescia. Questo è stato uno dei casi più gravi, ma fenomeni di spopolamento si susseguono ovunque. Secondo Angelo Dettori, segretario dell’Associazione apicoltori biologici Pronubio, «nelle zone molto inquinate come la pianura padana anche l’inquinamento dell’aria e le polveri sottili possono indebolire e disorientare le api».
PER IL RAPPORTO IPBES 2016, la riduzione di apis mellifera in Europa è reso meno evidente dall’intervento degli apicoltori, che in caso di morie tendono a sostituire le colonie distrutte. Per gli impollinatori selvatici (bombi e altri insetti) le condizioni sono ancora più critiche: la Lista Rossa Europea delle Api indica che il 9,2% delle 1.965 specie di api selvatiche è in via di estinzione.
DAGLI IMPOLLINATORI, SECONDO ALCUNE stime, dipende il 70% della produzione agricola mondiale. Ma come spesso succede, invece di cambiare rotta, l’uomo pensa a sostituire con la tecnologia ciò che distrugge: e così l’agricoltura industriale, dopo aver creato condizioni sempre più ostili per questi insetti, ricorre all’impollinazione artificiale, per mezzo di appositi pennelli, o arriva perfino a progettare robot e api drone (presso l’Università di Harvard).
L’APE E’ UN BIO INDICATORE per eccellenza, una sentinella dell’inquinamento suo malgrado, in quanto diffusa in quasi tutti gli ambiti territoriali: in un giorno una famiglia di api può visitare fino a 14 milioni di fiori, su un raggio di 3 km. Le api perlustrano tutti i settori ambientali (terreno, acqua, aria) portando con sé polveri sottili, metalli pesanti, e svariate sostanze chimiche. Secondo alcune ricerche, è probabile che fungano da filtro, perché nelle api sono riscontrabili valori di inquinanti superiori a quelli riscontrati nel miele.
DAL 2018 I PAESI CHE FANNO PARTE dell’Unione europea hanno vietato l’uso di 3 pesticidi neonicotinoidi, pericolosi per le api e per altri insetti impollinatori: l’imidacloprid, il clothianidin e il thiamethoxam (possono essere impiegati solo in serra). Già nel 2020 però 21 autorizzazioni di emergenza per queste tre sostanze sono state concesse da vari paesi europei, per il trattamento della barbabietola da zucchero.
«OLTRE A QUESTI 3 NEONICOTINOIDI – afferma Dettori – ci sono tante altre sostanze pericolose per le api e per noi umani, come il dimetoato, vietato nel 2017 perché secondo Efsa è dannoso per le api e potenzialmente genotossico per gli umani, (agente mutageno in vivo), ma a giugno 2020 era di nuovo in commercio in Italia, in deroga per qualche mese, per il trattamento degli ulivi. Le deroghe sono davvero troppe».
L’associazione Aspromiele Piemonte ha condotto numerosi studi: «I risultati del biomonitoraggio hanno evidenziato presenza di pesticidi nel polline e nel miele, in più casi è stata superata la soglia di legge per il consumo umano», spiega Luca Allois, coordinatore dell’associazione.
«ANCHE LADDOVE LE MOLECOLE sono presenti in quantità basse, queste si accumulano e possono danneggiare la salute delle api. Il glifosato nel polline e nel miele resta una problematica rilevante. Gli apicoltori denunciano casi di spopolamento (le api non tornano all’alveare), o avvelenamento e questo succede anche in montagna. Nella primavera 2020 è stato dato il permesso di usare nei noccioleti l’abamectina contro l’acaro dei noccioli, un pesticida che ha colpito le api che stavano raccogliendo melata sui noccioli. Con il progetto bee-rap, infine, stiamo portando avanti un monitoraggio su come le condizioni climatiche stanno influendo sulla vita delle api».
ANCHE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO, infatti, colpisce le api: inverni caldi che spingono le regine a riprendere le covate senza il dovuto riposo, primavere fredde che danneggiano i primi raccolti (acacia), precipitazioni rare a giugno luglio che limitano la crescita dei fiori selvatici (millefiori), la siccità che inibisce la produzione di nettare.
«LE ATTUALI TECNICHE AGRONOMICHE con arature profonde, diserbi, concimazioni inorganiche, rappresentano una minaccia persino maggiore rispetto a quella legata ai pesticidi», spiega Luca Bosco, apicoltore e redattore di l’apis (rivista di Aspromiele). «Il degrado del suolo incide sulla biodiversità microbica del terreno, così che le piante non sono più in grado di originare belle fioriture o di secernere nettare abbastanza nutriente per gli insetti impollinatori. L’alterazione del metabolismo vegetale innesca problemi di salute per le api (debolezza immunitaria). Il degrado del suolo può cambiare i profumi floreali: la pianta mal nutrita cambia odore e non è più immediatamente rintracciabile dall’ape».
SECONDO L’ISPRA (2020), LA CONSERVAZIONE degli habitat naturali, la consociazione di vegetali con diversi periodi di fioritura, la conservazione dei filari, delle siepi, delle pozze d’acqua e dei prati ai margini delle colture, insieme ad una drastica riduzione dei prodotti agro-chimici, è il modo più efficace per evitare ulteriori diminuzioni o scomparse degli insetti impollinatori.
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