Jazz ed elettronica, un rapporto risalente agli anni Sessanta e, oltre a Sun Ra e al Miles Davis elettrico di fine decennio, bisogna pensare al compositore George Russell che nel 1969 registra la Electronic Sonata for Souls Loved by Nature. Quale è la situazione odierna nella relazione tra linguaggio jazzistico e strumenti/ dimensione elettronica?

Ad un estremo ci sono posizioni radicali come quella dell’afroamericano Gerald Cleaver in 22/23 (577 Records). Qui si può parlare di elettronica «pura», meglio «assoluta». Batterista e compositore originario di Detroit, una carriera tra Roscoe Mitchell e Bill Frisell, Cleaver crea musica a partire dall’elettronica e dalla manipolazione della propria voce, utilizzandone un’altra (Jean Carla Rodea) e i sassofoni di Andrew Dahlke. Di batteria, ritmo, jazz non c’è traccia.

Già nei precedenti Signs e Griots Cleaver aveva dispiegato la sua bravura nella composizione elettronica (20 anni di sperimentazione) in scenari sonori tecno-utopistici: in 22/23 li si ritrova in pieno sviluppo, con un’incursione afrofuturista (Cake) dove riemerge il ritmo. Un visionario. Dagli Stati Uniti all’Italia, da Detroit a Roma.

Siamo all’estremo opposto con il trombettista, compositore e arrangiatore Giovanni Falzone. Jazzista di fama europea, per 8 anni ha lavorato in ambito classico ad alto livello prima di dedicarsi al jazz dal 2004. Falzone ha un controllo tecnico-espressivo assoluto della tromba ma è altresì interessato alla manipolazione elettronica dello strumento e della propria voce. Sono elementi che si ritrovano nell’ispirato (e qui già trattato) Canto terrestre (Parco della Musica Rec.) che è soprattutto un omaggio alle tante facce della sua amata e natìa Sicilia.

Nel disco (intitolato da una sperimentale suite in 5 movimenti) Falzone utilizza un trio con basso elettrico (Giuseppe La Grutta) e batteria (Andrea Bruzzone); tromba, voce ed elettronica sono gli strumenti con cui crea un’originale dimensione acustico-elettrica.

Esiste un grado intermedio, tra gli estremi, ben rappresentato da Know: Delirium Atom Paths (577 Rec., inciso live a Leeds, UK). Il tastierista Pat Thomas, il chitarrista Chris Sharkey e il batterista Luke Reddin-Williams improvvisano per 44 minuti una sorta di suite, un flusso progressive in cui rimescolano linguaggi e sonorità all’insegna dell’elettrico/elettronico. Revival? Nuova dimensione compositivo-improvvisativa? Facile venir attratti nel «buco nero» sonoro che i tre generano.