Cultura

Claudio Cerritelli, una scrittura militante

Claudio Cerritelli, una scrittura militanteClaudio Cerritelli

Ritratti La scomparsa di uno studioso che si interrogava sull’eredità delle avanguardie, dall’Informale alla Pittura Analitica. Nel 2010 con «Critica in dialogo» propose un panorama ampio e ramificato di posizioni e protagonisti del dopoguerra, da Argan a Eco, da Celati a Luzi

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 3 agosto 2024

Nel 1982 Claudio Cerritelli (Roccaraso 15 agosto 1953-Milano 31 luglio 2024) pubblicava su Questarte una raccolta di Iconografie della critica: un campionario autoriflessivo di generi di scrittura militante, dalla presentazione di mostra al dibattito, dalla recensione all’intervista, alla conversazione registrata. C’è sempre stata, in lui, una spiccata attitudine all’ascolto, di cui diede conto nel 2010 con Critica in dialogo: un panorama ampio e ramificato di posizioni e protagonisti del dopoguerra, da Argan a Eco, da Celati a Luzi. Aveva cominciato da studente al Dams di Bologna, dove nel 1977 si era laureato con Paolo Fossati, riconosciuto maestro d’elezione e sodale di molti progetti, a cui forse deve qualcosa il suo piglio intemperante e appassionato, ma stemperato d’ironia: da lui cui aveva imparato a interrogarsi sui problemi specifici del linguaggio nel vivo dei suoi meccanismi interni.

DA LÌ PARTIVA un quarantennio di lavoro sul campo, che lo vedeva esordiente in Registrazioni di frequenze – la mostra del 1982 con Alinovi, Gualdoni, Parmesani e Tosi – e impegnato dal 1980 nell’insegnamento nelle accademie di belle arti, dapprima a Bologna, poi dal 1986 al 2020 a Brera, quando Milano divenne la sua nuova città. Da subito aveva rivolto la sua attenzione alla difesa delle ricerche aniconiche, con uno spettro che, interrogandosi sull’eredità delle avanguardie, fra pittura e scultura, andava dall’eredità dell’Informale alla Pittura Analitica. In quello scorcio di anni Settanta, e negli Ottanta, Claudio era fra i più giovani critici attenti a quelle tendenze, a distanza favorevole per conciliare la frequentazione assidua degli artisti con la messa in prospettiva storica dei problemi, fra riscontro diretto sulle immagini e posizioni della critica.

IL VERO CUORE del suo ragionamento, fra l’auscultazione dell’opera d’arte e l’attenzione al dettato dei testi d’epoca, mirava infatti a Il corpo della pittura, come recitava un suo libro del 1985 (fra i testi cruciali ripubblicati nell’intenso e penetrante Soglie analitiche del 2019), tenendo insieme l’analisi del linguaggio e l’emozione implicita nel processo creativo «nell’atto del suo farsi». Una questione di pelle, insomma, e di restituzione con lirica determinazione di un dato di sensibilità, o di perlustrazione intima delle forme che teneva fede alle ragioni poetiche degli artisti. Queste, infatti, non mancavano mai nei suoi scritti, o sulle pagine di Nuova Meta, la rivista di cui aveva assunto la direzione nel 1994, muovendosi sulla soglia fra immagini e parole: un principio, quest’ultimo, che animò il recupero di voci neglette della critica d’arte, dalla rilettura di Roberto Sanesi alle raccolte, con Elisabetta Longari, degli scritti di Alberto Veca. Il suo è sempre stato infatti un impegno sul presente, oltre che di sostegno concreto e generoso a generazioni di artisti incontrati dentro e fuori dell’accademia; e sorretto, finché ha potuto, da un amore vibrante e fedele per la scrittura.

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