Cultura

Claudio Abbado, il demone del rigore

Claudio Abbado, il demone del rigoreClaudio Abbado

Bacchetta magica La sua lezione di cultura e civile per tutti noi comincia ora

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 21 gennaio 2014

In questa Italia così poco attenta a ciò che possiede di più prezioso, il caso di Claudio Abbado è uno dei più istruttivi. Il maestro era fra i grandi uomini del nostro paese quanto mai deciso nel denunciare le condizioni di abbandono in cui versava la nostra vita culturale. La sua non era un’eloquenza tribunizia ma le frasi di quell’uomo sobrio e misurato erano in grado di scuotere le coscienze perché giungevano come l’eco di un’attività inesausta. Credo fermamente che la lezione culturale e civile di Abbado – e lo dico nel momento tristissimo in cui ci ha lasciati per sempre – per tutti noi comincia ora, con lo sguardo retrospettivo che possiamo gettare sulla sua carriera.

Tanti anni fa – eravamo nel 1986 – Abbado aveva iniziato a incidere per la Deutsche Grammophon le otto sinfonie di Schubert con la Chamber Orchestra of Europe da lui stesso fondata nel 1978. Fu un’impresa lunga perché nel corso della registrazione il maestro si impegnò nella ricerca del vero suono schubertiano. Va detto che ancora oggi le sinfonie di Schubert le ascoltiamo spesso nelle revisione eccellente di Brahms ma quella forbitura, scaturita dalla maturità di un grande compositore, non accontentava Abbado. Lo studio dei manoscritti originali fu il paziente e ispirato percorso attraverso il quale il maestro italiano seppe risuscitare quella divina acerbità che come un prezioso aroma avvolge il mondo sinfonico di Schubert.

Questa operazione condotta sulle sinfonie di Schubert vorrei assumerla come «password» per il modo in cui Abbado si è sempre mosso nel mondo della musica. Attenzione suprema per ogni dettaglio, tenacia, fantasia e soprattutto un demone che incalzava quell’uomo dall’apparenza tranquilla e riservata verso conquiste culturali sempre più estese e profonde. All’origine della vasta Odissea che è stata la sua vita c’era un talento di rara duttilità che ne fece un grande interprete sia dell’Opera che del genere sinfonico, ma è proprio sullo sviluppo del suo talento che bisognerebbe riflettere. Col giovane Abbado arrivò sul podio delle orchestre una corrente di rigore che non mortificava in nulla la fantasia; ne furono prova le sue interpretazioni rossiniane che parvero una netta affermazione di «genio e regolatezza». Su queste coordinate fondamentali si sviluppò la curiosità intellettuale che lo indusse all’esplorazione musicale della Mitteleuropa: Mahler, Schönberg, Berg, Webern e quindi, a ritroso, Schubert e Brahms composero con le loro opere un mosaico sempre più vasto in cui l’amore del dettaglio si traduceva in autentica ispirazione. L’opera lirica italiana, ma anche Wagner, Musorgskij e Debussy, costituivano il versante complementare di una ricerca che allargava sempre più i suoi confini annettendosi anche i territori della musica contemporanea.

Negli ultimi tempi Abbado arrivava alle prove accolto dall’attesa spasmodica dei musicisti: attaccava deciso, diceva pochissime parole e una corrente magnetica attraversava l’orchestra: il gesto era quello preciso di sempre, solo un po’ più sobrio, i musicisti capivano e davano vita a esecuzioni memorabili. Non aveva bisogno di discorsi e di grandi gesti; dopo tanti anni aveva scoperto ogni giorno di più che la pensava come Beethoven, Schubert, Brahms, Mahler, Verdi e Rossini e questo suo essere una parte vivente di quella grande tradizione veniva percepito dai musicisti delle orchestre, che diventavano partecipi della sua sublime spontaneità.

Quello che Abbado ci ha lasciato, registrazioni, capacità di promuovere le migliori iniziative musicali, fondando e incoraggiando festival e orchestre giovanili, curiosità intellettuale e responsabilità civile è ancora quasi interamente da valutare e ora tocca alle generazioni più giovani appropriarsi di questa favolosa eredità.

 

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