Visioni

Claudia Brignone, nascita di consapevolezza

Claudia Brignone, nascita di consapevolezzaUna scena da «Tempo di attesa»

Cinema Intervista alla regista napoletana, il suo documentario «Tempo d’attesa» oggi a Roma per la rassegna Solo di martedì. "Il lavoro nasce dalla mia esperienza di parto, i cerchi non consistevano in una lezione: rispondevano al bisogno delle donne di stare insieme, parlare di corpo e maternità"

Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 5 novembre 2024

Sotto un grande albero di magnolia c’è un cerchio di donne. Nella quiete del pomeriggio parlano, ascoltano, condividono storie, paure, desideri, esperienze legate alla nascita, la scelta di fare figli, il rapporto con se stesse. A fare da coreuta a questo coro vivo e multiforme è Teresa, una signora con i capelli bianchi, occhi profondi e una voce che viene da un tempo lontano, antico, che sa di matriarcato, di esperienze comunitarie, di una bellezza potente. Dal cerchio si dischiudono le storie che Claudia Brignone, Napoli, classe ’85, formata nella fucina di Filmap – Atelier di Cinema del Reale a Ponticelli, coordinato da Leonardo Di Costanzo nel 2014, ha fermato in Tempo di Attesa, suo terzo documentario. Un lavoro delicato e concreto che in frammenti, ritratti di vite affronta nodi cruciali del nostro tempo presente, in cui essere madre è solo un dovere, mai un diritto. Il documentario, Premio Speciale della giuria al Torino Film Festival 2023, verrà presentato il 5 novembre alla rassegna «Solo di martedì» al cinema Greenwich di Roma. Abbiamo intervistato Claudia Brignone che sarà presente in sala.

Da dove nasce questo lavoro, come si è sviluppato?

Claudia Brignone

Nasce dalla mia esperienza di parto, penso che a tutte dovrebbe essere data la possibilità di arrivare bene a questo momento. I racconti che avevo ascoltato erano traumatici, mi chiedevo se ci potesse essere un modo per vivere bene questo passaggio, il momento in cui si nasce è importante, se ti accolgono con una carezza o uno schiaffo fa la differenza. Ho iniziato a seguire diversi corsi pre-parto, il più utile è stato quello dell’associazione «Terra prena» fondata da Teresa De Pascale, intercettato tramite passaparola. Teresa è un’ostetrica di Vico Equense, ha lavorato circa dieci anni in ospedale, a un certo punto ha deciso di mettersi in proprio: è stata una delle prime, a Napoli, a fare i parti in casa. La chiamo, mi invita a uno dei cerchi, sento subito calore, accoglienza, gli incontri non consistevano in una lezione: rispondevano al bisogno delle donne di stare insieme, parlare di questioni legate alla maternità, le relazioni, il corpo, le violenze all’ordine del giorno. Se vai in ospedale, o al consultorio, fai quattro incontri di due ore, e finisce lì. Nel cerchio c’è un tempo lungo, in cui ti apri, vengono fuori delle cose che ti aiutano durante il momento del travaglio e del parto, in cui si rivivono una serie di traumi che ognuna ha. Se non li hai mai guardati prima è faticoso, dopo avrai a che fare con un bambino che non parla, serve avere un animo pulito per accoglierlo. All’inizio pensavo di voler filmare solo i cerchi, mi sono messa in ascolto con la telecamera. A un certo punto mi sono resa conto che tutte queste parole occorreva visualizzarle, così ho chiesto ad alcune se potevo andare a filmare le nascite. C’è chi ha detto di no, chi all’ultimo si è tirato indietro, chi ha partorito nella corsa verso l’ospedale. Ho impiegato quattro anni per seguire le storie, è stato un processo lungo, anche di post produzione, condiviso con Lea Dicursi che ha fatto il montaggio.

Nel cerchio non si parla solo di questioni personali, ma si scambiano informazioni e conoscenze preziose.

Con Teresa e le donne ho appreso una serie di questioni importanti, pratiche, a cominciare dai reparti dove si praticava questo o quello, che tipo di accoglienza c’era e dove. È molto importante creare consapevolezza nelle donne, altrimenti c’è qualcun altro che sceglie per te. Ci sono delle indicazioni precise dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma non sempre vengono rispettate. C’è la possibilità di fare un piano parto. Io sono arrivata lì preparata: la maggior parte delle donne ci arriva senza sapere nulla. C’è una privatizzazione enorme. Tutti vanno dal ginecologo privato, poi è lui a gestire tutto. Se hai paura o hai una certa età, ti dicono che devi necessariamente fare il cesareo. Oppure che, se hai fatto il primo figlio con il cesareo, devi proseguire in questa modalità, mentre non è così. Ogni donna deve scegliere con consapevolezza, lo sai solo se ti ascolti, se qualcuno ti tende una mano e non ti fa sentire sbagliata rispetto a una perfezione che non esiste.

Dalle singole storie emerge l’enorme difficoltà di fare i figli e di gestirli, in Italia, nel 2024.

Una delle donne, la più adulta, a un certo punto, scherzando, dice: «Mi sono dimenticata di fare i figli!». Un’altra racconta che nell’azienda dove lavorava era impossibile pensarci, c’è la questione della necessità di essere prima economicamente indipendenti, ma davvero occorre aspettare? Inoltre, oggi siamo tutti chiusi in un modello individualista di famiglia nucleare, in cui le donne si trovano spesso da sole a gestire tutto. La città non è pensata per i bambini, non ci sono servizi, spazi. Di tutto questo non si parla. Dicono solo che dobbiamo fare i figli, ma come?

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