Al secondo giorno da candidato della Lega alle europee, Roberto Vannacci ne spara una delle sue e scatena un putiferio. Anche a destra, e anche nel partito che in cui sarà candidato.

PARLANDO con La Stampa, il generale della Folgore si produce in una sorta di climax delle politiche discriminatorie, riprendendo uno dei suoi classici: esiste una normalità da proteggere e restaurare contro la presunta dittatura delle minoranze, pronte ad assaltare lo stile di vita del maschio bianco italico. «L’italiano ha la pelle bianca, lo dice la statistica», comincia Vannacci. Poi passa agli omosessuali: «Chi ostenta da esibizionista deve accettare le critiche». E l’aborto? «Non è un diritto», assicura il graduato. Fin qui siamo ai giudizi espressi nei suoi libri, manuali del senso comune reazionario. Come quando, nel corso di una presentazione nel bolognese, sembra attingere all’ottuso armamentario delle burocrazia militare per ricostruire in questo modo le botte ai giovani delle scorse settimane: «Gli studenti si pongono nella condizione di essere manganellati». Infine, l’ineffabile Vannacci ribadisce il suo giudizio su Mussolini («Uno statista») e afferma che le scuole debbano differenziare gli studenti «in base alle loro capacità». «Credo che classi con ‘caratteristiche separate’ aiuterebbero i ragazzi con grandi potenzialità a esprimersi al massimo, e anche quelli con più difficoltà verrebbero aiutati in modo peculiare», teorizza il candidato catapultato (e imposto a larga parte del suo partito) da Matteo Salvini in tutte le circoscrizioni al voto di giugno.

LO SMENTISCONO tutti, non solo le opposizioni e le associazioni che si occupano di disabilità. A partire dal ministro dell’istruzione (in quota Lega, non esattamente un liberal) Giuseppe Valditara, che si affretta a rivendicare «le politiche concrete a favore dell’inclusione degli studenti con disabilità» portate avanti dal suo partito e dal governo. Per il vicepresidente della Conferenza episcopale italiana Francesco Savino, le parole di Vannacci «ci riportano ai periodi più bui della nostra storia. Mi permetto di dire, con Papa Francesco, che l’inclusione è segno di civiltà». Paolo Barelli capogruppo a Montecitorio di Forza Italia non potrebbe essere più esplicito quando parla di «elucubrazioni da Capitan Fracassa di cui non si sentiva il bisogno».

GIANCARLO GIORGETTI ci tiene a precisare che Vannacci non è leghista. Da via Bellerio trapela la ridefinizione salviniana: «È un candidato indipendente che potrà portare il proprio contributo e raccogliere voti di opinione fuori dal tradizionale bacino della Lega. Salvini ha chiuso liste competitive, di alto valore dove, ovviamente, non mancano leghisti doc, europarlamentari uscenti ed esponenti della società civile, con un’ampia rosa di candidati». Non si esprimono né la ministra leghista per le disabilità Alessandra Locatelli (alla quale invano le opposizioni hanno chiesto di prendere le distanze dalle parole di Vannacci) e tanto meno lo stesso Salvini. Il quale oggi doveva essere a Pescara, alla convention programmatica di Fratelli d’Italia, ma manda a dire che farà il suo intervento da remoto a causa di «improrogabili» impegni personali.

PERCHÉ ACCANTO alla destra di Vannacci c’è quella della presidente del consiglio che oggi a Pescara annuncerà la sua candidatura alle europee, con ogni probabilità da capolista in tutte le circoscrizioni. Si presenta in forme appena più istituzionali, ma anche se costretta tra gli equilibri Ue e le esigenze identitarie, tra le righe fa passare messaggi non meno reazionari di quelli del generale della Folgore prestato alla causa salviniana. Lo dimostrano, per stare solo agli ultimi eventi, le parole del capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Tommaso Foti a proposito delle proteste degli studenti nelle università contro la guerra («Era meglio mandarli a zappare», ha detto) alle quali gli studenti rispondono con fermezza e sobrietà: «Nelle democrazie le proteste e il dibattito critico devono essere all’ordine del giorno».

MA OGGI, appunto, la scena se la prende Meloni. Che rivendicherà i «successi» dei primi diciotto mesi del suo governo e cercherà di giocare d’equilibrismo sull’Europa, rivendicando lo spazio per una destra che con ogni probabilità non sarà in grado di spostare dalla propria parte il baricentro della maggioranza del parlamento europeo ma che al tempo stesso deve stare nei giochi della nuova Commissione europea. Tra Visegrad e Strasburgo, e tra Viktor Orbán e Mario Draghi, la premier deve attraversare queste settimane cruciali di campagna per le elezioni europee senza perdere d’occhio le tattiche nazionali. E proprio da questo punto di vista, probabilmente, lo stillicidio quotidiano che si annuncia attorno alle esternazioni del generale Vannacci, non le faciliterà il compito.