L’appuntamento è all’Old Spotted Dog Ground, evocativo nome dell’impianto del Clapton CFC, dove la prima C sta per community, ovvero un «club comunitario». La sede è così nascosta in un meandro di una stradina laterale che sulle prime ci viene da pensare che il navigatore ci abbia fatto prendere una topica. Per fortuna incontriamo due volontari del club che capiscono il nostro disagio e ci confermano che non ci siamo persi, non prima di averci salutato in spagnolo. Come scopriremo a breve, non è per niente un caso.
Chiarita la nostra nazionalità, ci accompagnano alla club house. Intorno al bancone del bar, da cui vengono spillate pinte di birre artigianali, c’è un grande fermento, ma pure nel resto della sala, addobbata con foto, striscioni e altri memorabilia del Clapton e dei club amici e ideologicamente affini, ci sono persone molto indaffarate. Il giorno dopo, infatti, è in programma il match contro il Dunmow Town, valido per il sesto turno della Thurlow Nunn Eastern Counties Division One South, decimo degli undici livelli della piramide su cui è fondato il calcio inglese.

Per chiacchierare in pace e senza troppo frastuono, ci accomodiamo con il mio cicerone Kevin Blowe sui seggiolini, rigorosamente rossi come da colori sociali, della tribunetta principale dell’impianto, che così da poterlo ammirare in tutto il suo romantico splendore. Dalla parte opposta a dove mi trovo, dietro le panchine c’è un’altra tribuna ancora più minuscola, mentre il resto è costituito da pezzi di prato dove il match si segue in piedi e alla mercé delle intemperie.

Il nome a dir poco singolare lo si deve a un vecchio pub ottocentesco che si trova proprio a due passi dal cancello del club. Ora è abbandonato, ma in quanto edificio storico la società che ha comprato le mura avrà l’obbligo di ripristinare, almeno parzialmente, la sua funzione originaria di pub.
Kevin ammette subito una cosa: «prima di iniziare a seguire il Clapton anche io ignoravo l’esistenza di questo campo, eppure vivevo da queste parti da molti anni». Poi ci spiega il motivo dello «scambio» di nazionalità: qui di nativi della penisola iberica ne vengono tanti…grazie a una maglietta.

La seconda maglia del club è infatti rossa, gialla e viola, oltre a essere adornata da una stella a tre punte. La singolare policromia è un omaggio alla bandiera della Repubblica spagnola, la figura geometrica ricorda le Brigate Internazionali che combatterono contro i franchisti. A completare il tutto, la scritta «No Pasaran», «Non Passeranno», celeberrimo slogan antifascista. C’erano anche altre opzioni, ma il voto online ha decretato con una maggioranza schiacciante che questo era il completo che avrebbe realizzato l’italiana Rage Sport, piccola azienda ispirata da linee-guida etiche. Il legame con l’East End è molto pronunciato, perché dalla «metà» proletaria di Londra giunse in Spagna il numero più alto di volontari inglesi delle brigate internazionali.

Quello che non si aspettavano Kevin e i suoi compari è che a fronte di un primo lotto di 250 magliette disponibili, solo i pre-ordini si attestassero sulle 5mila unità. «Un collezionista spagnolo l’ha fatta diventare virale su Twitter e così in sei mesi abbiamo venduto magliette per circa 400mila sterline. Se vado in giro per Barcellona è difficile non imbattermi in qualcuno che ne veste una!».

Usata per la prima amichevole della storia del Clapton CFC nel 2018, la maglietta non è passata di moda e anzi, in occasioni come le elezioni parlamentari dell’estate del 2023 in Spagna, è bastato un tweet per rinfocolare l’attenzione. Ma, soprattutto, i proventi derivanti dalla sua vendita sono serviti per comprare l’Old Spotted Dog dalla vecchia proprietà. Con cui i rapporti sono tutt’altro che sereni, anzi, è ancora in atto una lunga diatriba legale. Il vecchio Clapton poteva contare su una storia gloriosa – è stato il primo club inglese a giocare nel «continente», vincendo 8-1 nel 1890 in quel di Anversa – ma ha un presente offuscato dai debiti e da problemi di varia natura. «Nel 2012 io e altri tifosi, disillusi dalle storture e dalle aberrazioni del calcio moderno, abbiamo iniziato ad assistere alle partite del Clapton. Non volevamo più essere trattati da clienti, ma tornare a un calcio genuino, fatto di sano tifo, casomai mentre sorseggiavamo un boccale di birra. Nei primi tempi eravamo una trentina, poi semplicemente mettendo qualche adesivo nei pub o quando andavamo in trasferta siamo aumentati, diventando centinaia di persone».

Supporter del West Ham, del Leyton Orient, ma anche del Tottenham, si sono così ritrovati a tifare Clapton. Va detto che l’affiliazione con la «casa madre» rimane, lo stesso Kevin riconosce che c’è chi ogni tanto si va a vedere un match degli Irons o degli Spurs – e a noi non può non venire in mente la scena del film di Ken Loach Il mio amico Eric, in cui un tifoso dell’FC United of Manchester prova inutilmente a celare l’interesse ancora intatto per le sorti dei Red Devils. «Una volta cresciuti numericamente, abbiamo provato a rilevare il club, ma i vecchi proprietari erano contrari e hanno fatto di tutto per ostacolarci. Nel 2017, la Football Supporters’ Association ci ha consigliato di creare un’entità tutta nostra. Così è nato il Clapton CFC. Non avevamo nulla, se non i soci. Poi abbiamo trovato i giocatori, un manager, Geoff Ocran, ancora in carica, e soprattutto un campo. Le prime stagioni ci siamo dovuti accontentare di giocare a Walthamstow, non proprio a due passi da qui, poi i soldi delle magliette ci hanno permesso di acquistare l’Old Spotted Dog Ground nel 2020». In realtà parecchio di quel denaro, ci spiega ancora Kevin, è servito per rimettere a posto il campo da gioco e le tribune, in condizioni pietose. L’epidemia di covid-19 non ha certo aiutato.

La matrice di sinistra che anima questa e altre azioni del club è dichiarata, totalmente alla luce del sole e senza alcun tipo di remora. Lo dimostrano gli striscioni ai bordi del campo – no one is illegal, nessuno è illegale, recita uno dei più vistosi – o nella club house. E ancora le tante iniziative a sostegno di migranti, rifugiati politici e gruppi per la difesa dei diritti umani a cui partecipa il Clapton. L’ultimo è il progetto Magpie, per raccogliere fondi per le giovani madri migranti, di fatto abbandonate a se stesse dal governo conservatore.

Kevin ci ribadisce con fierezza la forte connotazione politica, che non piace troppo alla federazione, aggiungendo dettagli su come e perché è nato l’esperimento del Community Football Club. Le parole d’ordine del Clapton CFC sono orizzontalità e trasparenza. Ogni singola spesa sostenuta, anche se di poche sterline, deve essere resa pubblica. La gestione del bene comune rappresentato dal club non va affidata a pochi e soprattutto in maniera «verticistica», ma a quante più persone possibile. Così, invece di un board formale, ci sono tanti comitati composti da vari membri. Kevin è in quelli che si occupano dell’amministrazione e del merchandising. «A volte è faticoso, di certo non sempre immediato, ma così si stimola il coinvolgimento e si prendono decisioni il più condivise possibili, oltre a puntare sulla competenza delle persone sulle singole materie. Finché non ci sei dentro, non riesci a capire quale sia l’impegno, economico e lavorativo, per portare avanti un club».

Il Clapton deve diventare un punto di riferimento per la comunità anche in termini di spazi fisici. Per questo è fondamentale l’ampliamento della club house. In un quartiere dove il 70% della popolazione è di origini asiatiche, quelli che vanno a vedere il Clapton sono per lo più bianchi anglosassoni, per cui la speranza di Kevin è di invertire questa tendenza promuovendo anche iniziative non necessariamente legate al calcio. Per questi obiettivi serve denaro, ma il club continuerà lo stesso a richiedere un’offerta libera per assistere alle partite – tecnicamente non è proprio così, perché le regole del campionato che disputa il Clapton prevedono un prezzo fisso del biglietto, vincolo superato introducendo una serie pressoché infinita di concessions. «C’è anche chi ci lascia biglietti da 20 sterline, non bisogna mai sottovalutare la generosità delle persone!»