Il notevole peso specifico dei racconti che Claire Keegan ha fatto confluire, lungo cinque lustri, in poche raccolte e una manciata di uscite singole, si riflette in una voce autoriale ammaliante e laconica, onesta e a tratti sfacciata, precisa nel delineare le sue traiettorie narrative e, nonostante questo, riluttante nell’indicare il senso ultimo che dovrebbe prendere la nostra lettura. In un’emblematica orchestrazione dei suoi stilemi, arriva adesso in Italia l’incantevole traduzione realizzata da Monica Pareschi del racconto che ha consacrato la fama di Claire Keegan (comparso sul «New Yorker» nel 2009 e pubblicato in forma libro lo scorso anno da Grove), il cui titolo originale, Foster, anticipava il tema centrale, ovvero l’affidamento.

Scritto al presente, dal punto di vista di una bambina affidata per qualche mese dai genitori in difficoltà a una coppia di parenti senza figli, Un’estate – questo il titolo scelto da Einaudi (pp.80, € 12,00) – ha una trama che procede senza incertezze e per via induttiva. Al lettore è dato apprendere solo ciò che alla piccola protagonista passa sotto gli occhi, lo sguardo di cui usufruisce è quello infantile e colmo di ansie della bambina che decodifica odori, luci e distanze di un ambiente a lei nuovo, cercando di ritrovarvi forme di plausibilità fino ad allora sconosciute e in prima battuta spiazzanti.

Sollecitato a ricostruire i presupposti della situazione narrativa cui si trova di fronte, il lettore assiste a una graduale alfabetizzazione emotiva della bambina, che – superati i fantasmi del passato e vinta la ritrosia iniziale – la fa arrendere all’inesorabilità dell’affetto dei due adulti. Se la donna mostra una premura e una dolcezza sconosciute alla bambina, tradendo tuttavia una qualche esitazione, l’uomo si abbandona senza alcuna remora alla complicità con la nuova arrivata. L’estate dunque scivola via tra rassicuranti momenti di routine e inaspettati riti di passaggio, piccoli piaceri e episodi carichi di simbolicità, i cui effetti vengono esaltati dalla prospettiva infantile: a volte la piccola si chiede, senza riuscire a darsi una risposta, se sia davvero contenta di quanto ha appena capito, sentito o semplicemente immaginato. E i suoi dialoghi mentali struggenti, le sue intuizioni, si alternano a frequenti passaggi genuinamente comici, mentre di fronte alla gratuità dell’affetto con cui viene accudita vengono via via meno i timori iniziali, dovuti all’abitudine di ritrovarsi esposta alla violenza del padre ubriaco.

L’abilità  di Keegan nell’affidare a una apparente pacatezza narrativa gli attriti dell’universo disforico dei personaggi mostrano tracce di debiti verso le indagini dell’imponderabile di Flannery O’Connor, verso i ritmi e le sensorialità del contesto rurale di John McGahern, verso la resa disarmante della prodigiosa immaginazione infantile di Roddy Doyle in Paddy Clarke Ah Ah Ah e di Patrick McCabe in Il garzone del macellaio, mentre rimanda alla voce strozzata di una ragazzina sovrastata dagli adulti in Another Alice di Lia Mills.

Come già altrove, anche in Una estate la scrittrice irlandese proporre un intreccio che non si dipana in un’unica direzione, sebbene faccia convergere in un solo punto focale una serie di linee di esplorazione, che non pretendendo di ipostatizzare una immagine ma suggeriscono piuttosto a ciascun lettore diversi modi di appropriarsi della storia, dei suoi personaggi, dei loro destini.