La settimana sindacale si è chiusa con una «profonda rottura» tra Cgil e Uil, da una parte, e la Cisl che ieri ha manifestato a piazza SS. Apostoli a Roma in polemica con lo sciopero generale indetto giovedì dalle altre confederazioni tacciandole anche «di populismo politico e sindacale» con il suo segretario Sbarra che ha condannato il «conflitto sterile» in cui sostiene di vedere «passi avanti».

La prossima settimana si aprirà invece con i tre sindacati riuniti in un nuovo giro di tavolo con il governo sulle pensioni, previsto domani. Le pensioni sono un tema presente nella manovra con la poco più che simbolica iniziativa su «quota 102». I sindacati chiederanno un ripensamento della «riforma Fornero» ma difficilmente otterranno modifiche significative ai problemi gravissimi provocati dall’intero sistema previdenziale sui giovani e sui precari e lavoratori maturi da questo o dal prossimo governo da febbraio. A meno che non si vada a votare e allora non si parlerà più di questi e molti altri argomenti per moltissimi mesi.

Sbarra ieri ha assicurato che i conflitti tra le dirigenze saranno delimitati perché «rimangono gli obiettivi» delle piattaforme unitarie. A cominciare dalle pensioni. Su questo i sindacati chiedono di avviare il confronto per riformare la legge Fornero e introdurre flessibilità in uscita a partire dai 62 anni o con 41 anni di contributi. Che «bastano per godersi il sacrosanto diritto alla pensione», che non è un lusso o un privilegio, ma un diritto fondamentale. Chiedono di costruire una pensione di garanzia per i giovani «intrappolati tra contributivo puro e carriere precarie e discontinue» e soluzioni adeguate per le donne, riconoscendo un anno di contributi in più per ogni figlio, di rendere strutturale l’Ape sociale e allargare la quattordicesima ai pensionati. In sindacati dicono no ad una eventuale ipotesi di ricalcolo contributivo della pensione (per i casi «misti»), che produrrebbe un taglio fino ad oltre il 30% dell’assegno lordo, rimarca la Cgil con un’analisi dell’Osservatorio previdenza. L’incontro di lunedì, afferma il segretario confederale Roberto Ghiselli, sarà l’occasione «per capire se effettivamente c’è la volontà da parte del governo di avviare un confronto vero con il sindacato e non un semplice ascolto, con l’obiettivo di superare le rigidità della legge Fornero».

Per una retribuzione di 20 mila euro lorde e con 30 anni di contribuzione complessiva, con una carriera lineare e 15 anni di contribuzione al 31.12.1995, la pensione lorda mensile passerebbe da 870 euro con il sistema misto a 674 euro con il ricalcolo contributivo, un taglio pari al 22,6%. Per chi anticipa a 64 anni l’uscita con il ricalcolo contributivo peserebbe per 19.344 euro di pensione in meno nell’intero periodo di pensionamento ha spiegato Ezio Cigna, responsabile Politiche previdenziali della Cgil . Il metodo di ricalcolo «non è equo». E determinerebbe un vantaggio per lo Stato, imponendo «un onere irragionevole» al lavoratore nel caso di anticipo della pensione, come oggi già avviene con Opzione Donna. «Non cambia molto se si prende a riferimento un reddito superiore a 30 mila euro lorde alla cessazione, con 38 anni di contribuzione»: la pensione lorda da 1.605 euro passerebbe a 1.376 euro, una differenza di 229 euro, pari al 14,2% sul totale della pensione, con un’incidenza pari al 32,7% sulla quota retributiva. «In questo caso la forbice del mancato incasso a 82 anni (attesa di vita media) è pari a 8.151 euro».