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Circensi o sobri: quegli atleti in porta

Circensi o sobri: quegli atleti in porta"Dino Zoff" di Davide Cerri (2010)

Sport Incontro con Giovanni Cerri e Davide Grassi, due degli autori di "Portieri d'Italia", le storie dei "numero uno" del Novecento, in genere introversi, ma talvolta anche un po' matti

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 14 febbraio 2015

Portieri strana gente. Sarà perché si allenano a parte o hanno un preparatore tutto per loro, sarà per il ruolo diverso da tutti gli altri calciatori o perché hanno il privilegio di prendere la palla con le mani, ma tra loro ci sono di tutti i tipi, introversi, incoscienti, carismatici e sfortunati. La loro carriera a volte subisce una svolta per una serie di parate effettuate nel corso di una partita o per una papera, che li segnerà per sempre nella memoria dei tifosi della squadra. Sulle diverse figure dei numeri uno ne parliamo con Giovanni Cerri e Davide Grassi due degli autori, insieme a Massimiliano Castellani, Mauro Raimondi e Alberto Figliolia di Portieri d’Italia (Acar edizioni euro 15.50). Un libro che descrive la figura di 13 portieri lungo il Novecento fino a Gianluigi Buffon.

Come nasce l’idea di un libro sui portieri?

Giovanni Cerri: “. Mio nonno era Bonifacio Smerzi di origini ungheresi, nato a Verona nel 1909, negli anni Venti era il portiere dell’Hellas Verona. Nel 1928 con il primo campionato a girone unico fu acquistato dall’Inter e vinse lo scudetto sotto la guida di Arpad Weisz, l’allenatore ebreo che morì nei campi di concentramento con tutta la famiglia. Giocò con Meazza fino al 1936, poi nella Lucchese. Mi parlava dei viaggi che facevano, dei campi di calcio di allora. Era molto amico di Masetti, portiere della Roma che vinse lo scudetto nel 1942, l‘ultimo prima della guerra, lo ammirava molto per la sua tecnica. Un altro era Aldo Olivieri, di San Michele Extra, un piccolo centro del veronese che si affaccia sull’Adige, portiere della nazionale che vinse il mondiale del ’38, giocò nel Torino e nella Lucchese. A un secolo dalla nascita di mio nonno volevo scrivere un libro sulla sua vita, poi parlando con gli altri il progetto ha avuto un’evoluzione e abbiamo deciso di individuare 13 portieri rappresentativi di un secolo, diversi tra loro per il carattere, tecnica e il loro essere personaggi.

Sei un pittore professionista, come hai rappresentato i portieri nei tuoi dipinti?

I portieri si dividono in due categorie, la prima rappresentata da uno come Enrico Albertosi portiere della nazionale italiana nella finale del ’70 contro il Brasile, una persona ombrosa con la sua anima mefistofelica, bevitore, fumatore, amante del gioco d’azzardo, incappato nel primo scandalo scommesse e rinchiuso a Regina Coeli, l’altra da Dino Zoff, che ho rappresentato come una figura compatta, molto solida, pieno di valori. I portieri non sono soggetti anonimi, sono persone con un forte individualismo. Ho preferito rappresentarli nelle loro figure statiche, nei ritratti sono prevalenti i loro volti, che denotano il loro modo di essere, gli stati d’animo.

Come avete individuato i portieri?

Davide Grassi: “Li abbiamo divisi in circensi e sobri, ai primi appartengono Albertosi, Zenga, Tacconi, grandi portieri un po’ matti, ai secondi Cudicini, Zoff, persone di poche parole, introverse, per loro parlavano le prodezze tra i pali. Tra i portieri degli anni Venti c’era Giovanni De Prà, numeri uno del Genoa dei primi quattro scudetti e della nazionale, che alle olimpiadi di Amsterdam, dove l’Italia si classificò seconda, non volle saperne di fare il saluto fascista, e soprattutto non indossava mai la maglia nera dei portieri. Un affronto che gli costò la carriera in nazionale. Il ruolo del portiere, rispetto a quello dei giocatori, che ha subito meno cambiamenti, è mutato radicalmente. Nel calcio dei primi anni Venti, i portieri indossavano il cappellino, le partite finivano con molti gol, 5 a 4 o 6 a 3, il loro modo di parare era diverso. Oggi devono avere coraggio, tuffarsi tra i piedi degli attaccanti per parare, avere una buona dose di incoscienza. Quando all’inizio di una partita o del secondo tempo, si avvicinano alla porta situata sotto la curva avversaria, i portieri sono più esposti, gli piovono di tutto, in quei frangenti sono il simbolo del coraggio”.

L’esempio classico di un portiere che per un errore si giocò la carriera?

Grassi: Antonioli, portiere del Milan all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso. Nel corso di un derby, fece la classica papera, che costò la partita ai rossoneri, perse il posto di titolare. Giocò nella Roma, ma era uscito dal grande giro. Il grande portiere non è solo quello che para tutto in una partita, ma soprattutto colui che si fa trovare piazzato sui due o tre tiri nel corso di un match. Taibi quando faceva il portiere del Piacenza parava di tutto, ma quando passò al Milan e poi al Manchester United sui pochi tiri, anche da lontano, effettuati dagli avversari, prendeva gol.

Chi è il portiere che vi ha colpito di più?

Cerri: Bacigalupo del grande Torino, ha suscitato in me una grande emozione, anche per la tragedia di Superga. Nella tavola che ho disegnato, l’ho rappresentato con un’espressione malinconica, dietro la rete, quasi fosse una gabbia.

Grasso: Cudicini. Arrivò al Milan a fine carriera, si diceva che era un raccomandato di Rocco, fu preso per fare da maestro al giovane portiere di riserva. Cudicini finì per giocare titolare fino a un’età avanzata. Arrivava sempre primo agli allenamenti e quando gli altri finivano, su disposizione di Nereo Rocco, lui proseguiva ancora per alcune ore. Un giorno mi disse che i primi tempi, quando usciva dal campo per andare a casa, lungo il tragitto piangeva per la stanchezza e il dolore che provava ai muscoli, ma poi i risultati si sono visti.

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