Ci dividiamo come sempre: è colpa di Hamas, è colpa di Israele. La parola “colpa” non aiuta a comprendere. Usandola ci liberiamo della nostra responsabilità, un problema serio e sottovalutato. Il termine giusto per definire la ferocia senza limiti di Hamas è “hubris”: il superamento della misura che pone chi lo compie fuori dalla comunità. Nell’hubris sta cadendo pure Israele con l’assedio asfissiante, crudele di due milioni di civili. Che fa coincidere Hamas e Palestinesi.

Polinice attaccando la sua città compie un’hubris. Lo stesso fa Creonte ordinando di lasciarlo insepolto. Un’hubris compie anche Antigone quando si espone indifesa alla furia del tiranno. Tutt’e tre pagano le conseguenze. Le hubris non sono eticamente uguali. Quella di Antigone è in sé un’azione nobile. Porta ugualmente a un esito infausto.

La questione di fondo è sempre questa: cosa può fermare il dispositivo lineare delle azioni che nobili o ignobili, feroci o meno feroci, vendicative o concilianti portano, nel loro insieme, dalla buona alla cattiva sorte? Solo l’assunzione di responsabilità da parte di tutti coloro che sono coinvolti nella catastrofe incombente non avendola direttamente determinata. La responsabilità non è correlata alle colpe effettivamente commesse. Deriva dalla consapevolezza che è in gioco la sopravvivenza della condizione umana, messa a rischio da una concatenazione di errori preterintenzionali (amartie) che in tanti hanno commesso, presi nel vortice dell’agire e del reagire, in tanti hanno permesso che si compiessero e tutti avrebbero potuto compiere (errare è umano). Gli autori dell’atto finale che supera la misura, rendendo la concatenazione irreversibile e l’esito catastrofico, ne vengono travolti. La nostra responsabilità sta nell’impedire che ci trascinino nell’abisso con loro.

Hamas è irresponsabile, l’ultima cosa di cui si preoccupa sono le sorti dei palestinesi. Irresponsabile è anche Netanyahu che, minando alle sue basi la democrazia del suo paese e l’unità del suo popolo, ha reso Israele vulnerabile come mai. Scaricare su questi “colpevoli” -l’organizzazione dei morti viventi al servizio del “trionfo della morte” e il primo ministro autoreferenziale e cinico- la responsabilità di ciò che è accaduto e sta accadendo, sarebbe il più grave errore. Dobbiamo toglierli dalla loro centralità, disattivando la loro nefasta influenza, e per farlo bisogna cogliere il disastro attuale in una dimensione spaziotemporale molto più ampia.

Con un cambiamento di prospettiva si può vedere che non è il conflitto tra israeliani e palestinesi ad avere complicato la pace internazionale; è la rigidità (frutto della precarietà) degli equilibri geopolitici ad avere reso questo conflitto permanente e avvelenato. In Palestina si concentrano contraddizioni fatali della nostra civiltà che hanno il loro punto di partenza nelle due guerre mondiali e nello sterminio degli ebrei.

La centralità occidentale nella loro determinazione è evidente. Ci sono due rimozioni, strettamente collegate, di cui non vogliamo sapere: il ripudio della parte ebrea di noi, atto che ci perseguiterà come le Erinni finché non lo riconosceremo, e la distruzione dell’altro che con i nazisti è diventata psicotica. Ciò che abbiamo accompagnato frettolosamente alla porta allora è tornato oggi dalla finestra. La nostra vita è di nuovo abitata dalla morte: l’eclissi del desiderio, l’indifferenza affettiva e mentale, l’ingiustizia nelle sue forme più perverse. La fascinazione della morte, di cui si è fatta portavoce Hamas, è contaminante, potente. Possiamo continuare a dividerci o a invocare la ragionevolezza senza interrogarci sui motivi della sua assenza? Moni Ovadia incolpando Israele ha sbagliato visuale. Tuttavia, l’identificazione di lui ebreo con lo sguardo dell’altro non ha una sua intrinseca ragionevolezza a prescindere da ogni altra considerazione?