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Cinque passi fra il Di qua e il Di là

Cinque passi fra il Di qua e il Di là

Il Covid-19 sa questa cosa meglio di noi, tant’è che se ne frega se su un passaporto c’è scritto Cina o Australia, Ungheria o Spagna. Gli basta un respiro troppo vicino e, zacchete, ha già scavallato. E noi ci illudiamo di fermare uno così sbarrando porte e frontiere? Frontiera. Linea tracciata da vicende geopolitiche derivanti da guerre, trattati, accordi e tutto quello che l’essere parlante è riuscito a inventarsi per contendersi un territorio. Le frontiere che richiedono un […]

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 15 maggio 2020

Frontiera. Linea tracciata da vicende geopolitiche derivanti da guerre, trattati, accordi e tutto quello che l’essere parlante è riuscito a inventarsi per contendersi un territorio. Le frontiere che richiedono un passaporto per essere valicate sono molto diverse da quelle segnate dalle barriere naturali. Montagne, colline, fiumi, laghi non esigono dei documenti, ma solo la forza fisica e la voglia di superarle. Comunque, anche quelle cambiano secondo i punti di vista. Per fare un esempio, i battellieri di Camogli (Liguria, terra di marinai) che ogni giorno portano gente da lì a Punta Chiappa, Recco o San Fruttuoso, indossano magliette con scritto «Il mare unisce i Paesi che separa», frase che qualcuno attribuisce al poeta Alexander Pope, altri ai navigatori greci.

Un lettore mi ha scritto: «Cinque passi da casa (proprio cinque) e sono in un’altra provincia. Faccio due chilometri e mezzo in direzione opposta e sono in una provincia diversa dalla prima e anche in una regione differente da quella che mi amministra». A lui questo miscuglio piace, tant’è che ha aggiunto «Viva le case di frontiera. Piene, da sempre, di storie e misteri». Non lo dice perché gli piacciono le barriere, al contrario si diverte a oltrepassarle così spesso e così facilmente. Ogni volta che percorre quei cinque passi è come se facesse uno sberleffo a un confine. Mi ha fatto pensare a quel coltivatore di Collio friulano (vino bianco prodotto nel goriziano) che una volta mi ha detto: «Dopo la seconda guerra mondiale c’era gente che aveva la casa in Italia e il giardino in Jugoslavia, la vigna mezza di qua e mezza di là, la chiesa da questa parte e il cimitero dall’altra. Con l’Unione Europea siamo diventati più liberi».

Il Covid-19 sa questa cosa meglio di noi, tant’è che se ne frega se su un passaporto c’è scritto Cina o Australia, Ungheria o Spagna. Gli basta un respiro troppo vicino e, zacchete, ha già scavallato. E noi ci illudiamo di fermare uno così sbarrando porte e frontiere? Una signora greca che ogni estate affitta la casa a un’italiana le ha restituito la caparra perché, ha detto, quest’anno non accetta italiani, spagnoli, francesi e inglesi. Siamo troppo contagiosi. Evidentemente non conosce il detto caro ai suoi antenati: «Il mare unisce ciò che la terra divide».

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