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Cinque giorni al default

Cinque giorni al defaultBarack Obama – Reuters

Usa Proseguono le trattative a Washington. Su debito e shutdown Obama chiede un anno di tregua ai repubblicani

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 12 ottobre 2013
Luca CeladaLOS ANGELES

La novità sul fronte dello shutdown è il dialogo, o quantomeno l’apparente principio di confronto fra le parti. Dopo giorni di alta tensione in cui Obama e repubblicani sono stati impegnati in manovre di posizione ardite come quelle di un pre-start di coppa america, i repubblicani hanno aperto giovedì con una proposta di «tregua» sul tetto del debito. Dopo l’annuncio il presidente si è incontrato con esponenti dell’opposizone in una riunone conclusa senza «indicazioni specifiche» (come da un comunicato della Casa Bianca) ma anche senza il secco nulla di fatto a cui a Washington ci si è abituati in questi giorni di stallo, e tanto è bastato per ridar fiato ai mercati che hanno subito festeggiato con un impennata dei listini l’apparente ripresa dei negoziati. Dopo un inziale no-comment le parti hanno infatti rilasciato dichiarazioni tiepidamente ottimiste parlando di generico rinnovato «impegno per una soluzione». La casa bianca ha definito il primo incontro «inconcludente ma cordiale», il numero due repubblicano Eric Cantor lo ha chiamato «ottimo e utile» confermando che le parti sarebbero tornate ad incontrarsi in serata.

Gli incontri «tecnici» fra staff di Casa Bianca e parlamentari ribelli sono poi proseguti nella notte confermando la sensazione di cauto ottimismo nella capitale. Detto questo non è chiaro quale siano i termini concreti della «pretrattativa». Inizialmente il New York Times aveva annunciato il nuovo rifiuto di Obama a «pagare il riscatto» au repubblicani, cioè a negoziare come precondizione della riapertura del governo, ma la notizia è stata subito smentita. Nella realtà Obama ha detto «ni», lasciando socchiusa la porta per un negoziato «totale» sul bilancio quando i repubblicani accettassero di autorizzare il debito pubblico. Intanto proposta Gop, caratterizzata da John Boehner come un «incontro a metà strada» nel negoziato è in reltà stata poco più che una mossa tattica per mettere Obama sulla difensiva offrendo semplicemente di rinviare di sei settimane l’ultimatum sul tetto del debito, obbligandolo a rispondere all’«apertura» repubblicana. Il presidente lo ha apparentemente fatto chiedendo di allargare le trattative anche al boicottaggio della riforma sanitaria che ha provocato il sabotaggio del governo. In pratica mentre i repubblicani propongono di rilasciare gli ostaggi separatamente, anzi liberarne uno, ma solo fino al mese prossimo, Obama insiste nel rilascio immediato di entrambi come precondizione per intavolare la discussione sul bilancio pretesa dai conservatori. Il dato di fatto positivo sarebbe che nessuno ha ancora cominciato a sparare.

Dopo settimane di infuocate dichiarazioni pubbliche, sui dettagli del dialogo vige il massimo riserbo. I repubblicani avrebbero formalizzato ieri una proposta più articolata che inserirebbe nel «pacchetto» col tetto del debito anche la riapertura del governo in cambio di non precisati ridmensionamenti della spesa. Richieste specifiche che contravverrebbero dunque al rifiuto sulle precondizioni posto dalla casa bianca. Altro pomo di discordia riguarderebbe le scadenze; i repubblicani cederebbero sul default solo fino al 22 novembre, rimandando così il caos economico alla delicata stagione dei consumi festivi. Obama vuole garanzie di stabilità almeno per un anno su debito e shutdown. Non c’è insomma nulla ancora di certo ma i negoziati dovrebbero comunque continuare durante il fine settimana, anche perchè la mannaia del default calerebbe ormai fra soli cinque giorni.

I repubblicani faranno comunque di tutto per incorporare in un eventuale accordo i loro fondamentali articoli di fede, cioè tagli alla spesa, welfare e servizi sociali, e abbassamento delle tasse, più qualche possibile modifica cosmetica ad Obamacare per salvare la faccia. Sul partito di destra incombono ora infatti sondaggi disastrosi che fissano il «gradimento» dei repubblicani al di sotto del 30%. Se la percezione pubblica dovesse permanere, dopo aver perso le ultime due elezioni presidenziali, per loro potrebbe profilarsi la perdita anche della camera nel 2014. Dall’altra parte anche se Obama non ha per ora ceduto, è un dato di fatto che l’insurrezione guidata dal Tea Party ha spostato il dibattito sul terreno definito dagli estremisti, un precedente pericoloso che al normale dibattito parlamentare sostituisce la tattica del ricatto suicida ed una demagogia di sapore decisamente post-democratico.

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