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Cinematica, Ildegarda Von Bingen e le altre

Cinematica, Ildegarda Von Bingen e le altre

Il Festival Alla Mole Vanvitelliana di Ancona con Simona Lisi

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 11 luglio 2020

Fosse nata solo cento anni dopo Hildegarda Von Bingen, classe 1098, sarebbe stata bruciata come strega e non proclamata santa e dottore della Chiesa. Invece le è capitato di venire al mondo, decima figlia di famiglia agiata, nel Medioevo della prima crociata, un momento non buio come perlopiù ritenuto, ma al contrario luminoso, per chi poteva permetterselo, di ricerca culturale, vivido dei colori delle miniature e delle pietre, degli erbari e dei bestiari, E risuonante di musica. Tutte componenti che nella fervida mente di Hildegard (il nome maschile tradisce origine di aristocrazia militare: colui che protegge combattendo) hanno fatto sintesi e fatto di lei un diamante sfaccettato capace di gettare arcobaleni tra persone e saperi.

Un personaggio appunto poliedrico, ed eccezionalmente capace in tutti i suoi cimenti, ma in fondo, ci ricorda Diego Poli, docente di glottologia ed esperto di linguistica germanica per l’Università di Macerata, non così anomalo per l’epoca in quanto ad esperienza multidisciplinare e a dimestichezza col tema della visione. Perché Hildegarda, prima compositrice d’Occidente e curatrice (i suoi rimedi a base di erbe e gemme affollano anche scaffali di deriva new age) , è nota soprattutto come mistica. Immagini del cosmo, dell’anima, della trinità l’hanno visitata sin dalla prima infanzia trovandola sempre coi sensi all’erta. Non ha vissuto estasi ma disvelamenti della realtà esperiti da sveglia, come sogni fatti alla presenza della ragione ma ignorati fino all’età di 42 anni. Era malata a quel tempo, racconta, proprio per l’ostinazione di rintuzzare le elargizioni del suo dono, inferma a letto quando una voce le ha imposto «scrivi, scrivi ciò che vedi e senti»; seguire quell’ordine l’ha salvata.

Se il comando venisse da Dio, dal quel daimon di cui parla James Hillman nel Codice dell’Anima o dal sacro fuoco che arde in chi trova nella realizzazione artistica la sua ragione d’essere, ognuno può valutarlo come vuole. Quello che è certo è che la Sibilla del Reno non si è limitata a scrivere ciò che visto ma lo ha rappresentato per mezzo di illustrazioni, lo ha raccontato, condiviso, cantato, usando in modo personalissimo il linguaggio e creando una propria lingua (oltre che una nuova musica). È la Lingua Ignota, fatta di 23 lettere che dà il titolo allo spettacolo di danza e luci della coreografa Simona Lisi, direttrice artistica di Cinematica festival, che ha portato in scena una somma dell’opera di Hildegarda Von Bingen in una notte di luna piena dentro lo spettacolare spazio d’arte e perfomance che è la Mole Vanvitelliana di Ancona. Già Lazzaretto, luogo di quarantena, ha ospitato il primo festival ad essere eliminato per covid dalla programmazione marchigiana di marzo e il primo a tornare in piedi dopo lo schiudersi dei divieti che hanno afflitto il mondo degli spettacoli dal vivo.

Il racconto di scrittura col corpo tracciato da Simona Lisi, padrona della danza e del canto, si è sviluppato insieme a quello delle musiche fondamentali di Paolo Bragaglia e delle luci di Pietro Cardarelli che ha proiettato sul corpo della danzatrice e sulle mura dietro di lei animazioni delle figure viste da Hilde e le 23 lettere dell’alfabeto di sua invenzione. Una rielaborazione di quello latino, un glossario di 1011 lemmi ha spiegato il prof. Poli «fatto di sostantivi, pochi aggettivi, nessun verbo e accompagnati dal corrispettivo traducente in latino e talvolta in tedesco».

Alcuni dei nuovi vocaboli che «non sono resi corrotti dall’uso» si rapportano alle gerarchie celesti, anche se per la maggior parte si riferiscono alla natura e al corpo umano, seguendo un’organizzazione tassonomica ripresa dalle Etymologiae di Isidoro nel disporre le voci sui tre livelli di appartenenza: spirituale, umano e naturale. Alla creazione di parole nuove, Hilde ha affiancato anche un uso effervescente del latino medievale, arricchito di contrazioni, giochi di parole, messaggi cifrati e rimandi alla numerologia: l’opera più famosa della mistica ha per titolo la parola di sua invenzione Scivias, conosci le strade, unione di due lemmi realizzata per ottenerne uno di 7 significanti lettere. Nulla è casuale nei suoi messaggi, scritti o visivi che siano, e la chiave per decrittarli è quella luce di cui Hilde parla continuamente: raggio divino all’origine di tutto. Non può che essere così avendo a che fare coi testi profetici di una religiosa medioevale. Ma sappiamo che anche Francesco Ingravallo, come molti altri solutori di enigmi, si «illuminava dell’aurora del ci siamo» nel Pasticciaccio brutto di via Merulana di fronte alla decifrazione di un mistero e che le opere dei formidabili geni si prestano a letture multilivello.

La casa editrice Skira ha pubblicato lo scorso anno un prezioso lavoro di Sara Salvadori, musicista ed educatrice, che ha realizzato una ricognizione perfetta dell’apparato iconografico a corredo del racconto mistico di Hildegarda: Hildegarda Von Bingen – Viaggio per immagini contiene 35 miniature con glossario sapienziale e con la spiegazione della loro simbologia. Vi sono riprodotti a grandezza naturale una Trinità dove Cristo è color zaffiro come un umanoide di Avatar, il firmamento, che Hildegarda avrebbe voluto rappresentare con un globo, è un uovo, un Cammino dell’anima comprende la raffigurazione di un utero abitato e traslucido come un’ecografia, il processo della procreazione è accompagnato dalla rappresentazione simbolica dei genitali e del seme.

Sguardo al cielo ma coi piedi per terra, Hildegarda, ha parlato di piacere femminile senza giri di parole, si è messa in cammino a sessant’anni, seguendo il corso del Reno, a predicare e redarguire clero corrotto e imperatori protervi. Ha corrisposto con gente del calibro di Bernando da Chiaravalle e litigato con il Barbarossa, il nonno di Federico II, al cui matrimonio con la francese Beatrice di Borgogna si deve l’arrivo della cultura trobadorica in Germania dove non erano rari i trovatori donna e dove si colloca anche il canto d’amore di Hildegarda; la religiosa tedesca ha riscattato Eva, parlato di viriditas come verdezza vitale che ha dentro vir ma anche virgo. Ha inteso la verginità non come integrità anatomica ma come interezza del dono e della specificità che ognuno riceve dalla nascita: il peccato non è la trasgressione del divieto ma lo spreco, il non osare seguire la propria strada. «O figlia corri» scrive «perché ti sono state date ali per volare…dunque vola velocemente per tutte queste avversità».
Hildegarda, si è ritrovata nella sua lunghissima vita (è morta a 83 anni) anche a vivere una situazione di reclusione e privazione artistica non lontana da quella che abbiamo conosciuto in lockdown.

Un anno prima di morire le venne imposto dai preti di Magonza, il divieto di ricevere l’eucarestia e quello di cantare durante le celebrazioni liturgiche: questo per essersi rifiutata di disseppellire, come ordinatole, il corpo di un nobile colpevole di delitto, assolto e inumato nel cimitero del monastero di cui Hilde era badessa. Salda nella sua pietas come Antigone, rivolge ai preti una lettera che è di fatto il suo manifesto a difesa alla musica.

«L’anima è una sinfonia – tuona – e lo spirito profetico ordina che Dio debba essere lodato dalla gioia dei cimbali e degli altri strumenti musicali che saggi e sapienti hanno inventato. Voi tutti o prelati dovete stare bene attenti prima di chiudere con un decreto la bocca ai cori che cantano lodi a Dio».

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