Sul finire degli anni Sessanta, il regista e saggista cubano Juan García Espinosa scriveva che il cinema deve tendere ad essere imperfetto, mescolando cioè arte e vita, abbattendo le distinzioni fra autore e spettatore, creando allo stesso tempo spazi di proiezione alternativi, e diventando quindi popolare, ma non consumistico. Vent’anni più tardi questa idea di cinema trovava nuova linfa dall’altra parte del mondo, a Taiwan, quando per quattro anni si è declinata nei lavori di video-attivismo del gruppo che si faceva chiamare Green Team.
Nelle scorse settimane, delle proiezioni speciali online organizzate da TaiwanDocs, associazione per la promozione del cinema documentario dell’isola, hanno fatto (ri)scoprire alcuni lavori del gruppo ed il loro importante significato in un periodo storico cruciale per Taiwan ed i suoi abitanti. Fra il 1986 ed il 1990 il collettivo Green Team – fondato da Wang Chih-chang, Lee Sanchung e Fu Dau – attraverso lavori girati con videocamere amatoriali e Betacam, ha saputo scardinare la narrazione dominante portata avanti dal governo guidato dal partito Kmt (Kuomintang) attraverso i mass media, televisione in primis, in anni in cui il Paese cercava di uscire da un lungo periodo buio: la legge marziale fu infatti abrogata dopo 38 anni di violenze e soprusi solo nel 1987.

DEL 1986 è l’opera che inaugura le attività di protesta e di documentazione alternativa del gruppo, The Taoyuan Airport Incident. Il 30 novembre, durante la campagna per le elezioni, Hsu Hsin-liang, figura di riferimento per il partito d’opposizione DPP (partito progressista democratico), doveva rientrare in patria dopo anni di esilio e ad accogliere il politico all’aeroporto di Toayuan si ammassarono così migliaia di sostenitori. Non solo a Hsu non fu permesso di reimpatriare, ma il governo centrale mandò polizia ed esercito all’aeroporto, forzando gli scontri con la massa di persone lì convenuta con cannoni d’acqua e lacrimogeni. Mentre le tre televisioni nazionali e filo governative usarono le immagini per costruire un quadro in cui i manifestanti sembravano violenti ed i primi ad aver attaccato, il documentario del Green Team rivela una situazione completamente diversa, dove si vede chiaramente come siano polizia ed esercito a provocare e attaccare. Il lavoro fu montato dopo i fatti del 30 novembre, e venne proiettato ed usato nei convegni del DPP per evidenziare le falsità portate avanti dal governo e dai media tradizionali. Anche al di là dell’importanza politica contingente, The Taoyuan Airport Incident rimane un affascinante esempio di impegno civile espresso attraverso immagini, ed è anche un perfetto esempio di come la rivoluzione estetica resa possibile dalla nuova tecnologia (videocamere portatili e a costi ridotti) si sia indelebilmente intrecciata con i movimenti di liberazione e di opposizione che fiorirono in Asia negli ultimi decenni del secolo scorso.

PER USARE una felice espressione di Masao Adachi, cinema e rivoluzione sono due facce della stessa medaglia. Quindi la produzione del Green Team che si abbatté come un martello sulla società taiwanese durante i 4 anni della loro esistenza, è anche l’altra faccia dell’esplosione sismica di proteste e atti di resistenza che scossero il Paese. Solo nel 1987 si riscontrarono ben 1835 eventi di ribellione che toccarono tutti gli ambiti del vivere sociale, dall’ecologia alle condizioni di lavoro, dai movimenti studenteschi alle resistenze indigene, dalle manifestazioni femministe ad altre dove a ribellarsi furono i contadini.
Proprio una di queste insurrezioni è al centro di un altro dei più famosi lavori del Green Team, The 20th May Incident (1988) in cui una manifestazione pacifica di migliaia di contadini si trasforma, dopo l’intervento della polizia, in una battaglia urbana, dove, come spesso accadde in questo tipo di proteste (vengono in mente quelle giapponesi di fine anni sessanta-inizi settanta contro la costruzione dell’aeroporto di Narita), ai contadini si unirono anche gruppi di studenti universitari.
Come è frequente in molte delle rivolte contro il potere centrale, uno degli obiettivi del gruppo era cambiare il linguaggio: sia quello visivo che le parole stesse. Prima di tutto attraverso un nuovo canale satellitare ed illegale, come mostrato in un altro dei lavori presentati durante la proiezione speciale, Green TV’s Inaugural Film (1989). E poi attraverso una narrazione che usasse termini diversi da quelli adoperati dai media dominanti, non più ribelli quindi, ma attivisti, non congiure o complotti, ma insurrezione civile.

È INOLTRE importante ricordare come il documentario taiwanese fino all’avvento del Green Team fosse appannaggio esclusivo dello Stato o di chi possedeva le risorse finanziarie, mentre dal 1986 in poi si registrò un enorme cambiamento nel medium: una liberazione ed un’ondata innovativa che si riscontrò anche in molti altri paesi dell’estremo oriente. Tutto questo accadeva nello stesso decennio in cui fiorirono i grandi nomi del nuovo cinema taiwanese, da Hou Hsiao-hsien a Edward Yang.
Nei più dei 120 lavori realizzati dal gruppo in giro per tutta l’Isola nel corso dei 4 anni di attività, la videocamera è sempre mescolata alla folla e ne è parte integrante. L’estetica quasi amatoriale dei film non deve trarre in inganno: si tratta indubbiamente e prima di tutto di attivismo fatto attraverso immagini e non di cinema con la C maiuscola o «artistico» da esibire in sale o teatri, ma lo slittamento di prospettiva che i lavori del Green Team sono stati capaci di portare è di proporzioni storiche. Dare voce ed immagini a chi di solito non ne aveva – contadini, lavoratori o popolazione indigena – creando spazi di proiezione autonomi e ibridi, è un modo altro di fare «cinema», forse imperfetto ma pur sempre cinema.