Si tratta di veri nutrimenti quelli che trasmette il festival di Cinema e donne di Firenze (23-27 novembre) del Laboratorio Immagine donna quest’anno in edizione speciale sui «Mille volti della violenza». Dal programma ritagliamo in chiusura di festival un’anteprima che ci riporta agli anni settanta e all’attualità: It Happens to us (1971) della fotografa e regista Amalie R. Rothschild, che ha portato spesso a Firenze i suoi lavori, ma quest’anno ha presentato uno dei suoi primi film tornati inaspettatamente di attualità, il primo film sulla legalizzazione dell’interruzione di gravidanza, sul diritto di scelta delle donne. È un film che raccoglie testimonianze sull’aborto clandestino, la presa di coscienza su una legge che lo rendesse legale negli Usa. Dice AmalieRotschild: «fare questo film era importante nel ’71, l’aborto era illegale dappertutto tranne che nello stato di New York».

In quegli anni anche in Italia si mobilitava la lotta femminista su queste tematiche fino ad allora rimaste sommerse e sofferte in maniera isolata («l’aborto è un dramma, non è un reato» si leggeva tra l’altro negli striscioni delle manifestazioni), si analizzava la situazione a livello mondiale, si svelava il senso patriarcale di un divieto che provocava innumerevoli vittime.

Ora che dopo 50 anni la Corte suprema americana ha fatto un inspiegabile passo indietro appare di grande attualità, come un rinnovato momento di lotta riascoltare le interviste di quel primo documentario militante. «Le statistiche sulle morti risultato degli aborti clandestini sono ancora quelle riportate nel film» osserva Rotschild che ne sottolinea l’attualità impensabile dopo 50 anni e racconta che fu realizzato «da una troupe di sole donne bravissime e provvisoriamente disoccupate e costituì uno dei primi film di New Day, la distribuzione femminista che fondammo nel ’72». Diverse sono le testimonianze nel film di donne giovani e meno giovani, storie di nessuna conoscenza di contraccettivi, di colpevolizzazioni e atroci sofferenze sotto i ferri di mammane e medici improvvisati che pensavamo fossero stati spazzati via. Si contrappongono nel film le soluzioni abortive più avanzate e meno invasive accanto alle convinzioni primitive di ragazze e donne fatte che pensavano di intervenire saltellando su e giù oppure ubriacandosi. E a nulla sarebbe servito il diaframma dimenticato sotto il letto.

Sono ben quarantatré anni di una manifestazione nata sull’onda delle prime lotte femministe degli anni ’60, di incontri consolidati nel corso del tempo: è infatti grazie alla mobilitazione di una ospite «storica», Margarethe von Trotta che infine si è potuto organizzare dopo essere stato cancellato dai festival fiorentini. A questo proposito, con velata polemica rispetto al premio «Maestri del cinema di Fiesole» che dal 1972 non ha mai premiato una regista (unica donna a ricevere il premio è stata non a caso un’attrice, Stefania Sandrelli) Cinema e donne ha inaugurato il premio «Maestre del cinema»: il premio Angela Caputi Maestre del cinema è andato a Florence Miahle, autrice di un magnifico cinema di animazione di cui si è visto nel corso di «Cinema e donne» La traversée incomprensibilmente ancora non distribuito in Italia, meravigliose sequenze di un viaggio di ragazzini esuli, con il ricordo delle esperienze della nonna della regista fuggita da Odessa.

A Giovanna Gagliardo, autrice del primo film femminista italiano (Maternale) e più recentemente delle riletture dei materiali d’archivio rimontati con sguardo femminile (Bellissime) è andato il premio Gilda Doc del festival per il suo ultimo lavoro, il complesso Goodmorning Tel Aviv ritratto di una città laica e cosmopolita, capitale del gay pride, dove tutti i suoi abitanti delle diverse classi sociali hanno diritto di parola (tra i palestinesi parlano quelli delle classi più agiate, mentre gli ebrei ultraortodossi non hanno voluto partecipare) e intervengono a commentare cosa significhi appartenere alla città «che non dorme mai», esprimendo anche un senso condiviso di precario equilibrio.

Il premio Gilda per il film è andato a Isabella Sandri per Un confine incerto, uno dei più bei film italiani degli ultimi anni, dove si indaga tra le oscure pieghe della pedofilia, realizzato con la partecipazione della polizia postale e pensato per essere visto nelle scuole, ma rimasto praticamente sotto censura dopo la sua prima presentazione nel 2019, pandemia a parte, per il divieto ai minori di 14 anni e per la tematica che risulta ancora tabù.