Cina, la console adesso non è più proibita
Pechino Il partito comunista cinese e l'entertainment
Pechino Il partito comunista cinese e l'entertainment
I nomi di due piattaforme per giocare, The Winner e Vii, non dicono nulla a molti utenti del web, ma si tratta di due fake delle più note console di giochi elettronici Playstation e Wii. Tutti i prodotti – sia quelli veri sia quelli contraffatti – sono costruiti e assemblati in Cina, ma i ben più noti marchi possono finire nelle case dei giocatori cinesi solo da un anno circa.
Non si tratta della ben conosciuta e consueta tendenza cinese a copiare modelli di successo da altri paesi, pur trovando in alcuni casi una propria «via». La necessità che giustifica l’esistenza di questi due modelli – per una volta – ha una sua motivazione ben precisa: nel Celeste Impero dal 2000 al 2015 infatti sia la Playstation, sia la Wii (come altre tipologie di prodotto simile vendute regolarmente in Occidente) erano stati «bannati», vietati per una decisione del governo, preoccupato dalla possibilità che queste «diavolerie» occidentali potessero corrompere lo spirito confuciano asiatico dei cinesi.
I misteri delle interfacce
È stata una decisione rilevante che ha tagliato fuori un grande mercato dalle possibilità di due noti produttori mondiali (oltre allo sviluppo di un mercato nero con prezzi esorbitanti) e non ha permesso ai cinesi di essere aggiornati sulle moderne interfaccia grafiche realizzate da Sony e Nintendo. Quest’ultimo aspetto va letto non solo con riferimento ai fruitori dei giochi, quanto agli sviluppatori locali che oggi pagano uno scotto «culturale», secondo quanto affermano produttori di giochi cinesi, a causa della «censura» operata dal governo di Pechino. Questo blocco naturalmente è paradossale per più motivi e ricorda altri casi, come ad esempio quello delle bandiere tibetane, proibite a Pechino, ma prodotte nella ex «fabbrica del mondo».
Innanzitutto bisogna partire da un dato: nel 2015, l’industria dei videogiochi globale ha visto un fatturato totale di 71.27 miliardi di dollari. Un numero che dovrebbe aumentare a un tasso di crescita annuale del 4,8%. Entro il 2020 il totale delle entrate previste per l’industria dei videogiochi globale sarà di oltre 90 miliardi di dollari, secondo gli studi della PwC Global Entertainment and Media Outlook.
I tre principali mercati di videogiochi sono gli Stati Uniti, il Giappone e la Cina. Nel 2015 in Cina le entrate derivanti dai videogiochi ammontano a 8.98 miliardi di dollari e si prevede che raggiungeranno i 12.85 miliardi di dollari entro il 2020. Questo numero, secondo la ricerca, potrebbe essere agevolato anche da nuove «scoperte» nel mondo dei giochi, come ad esempio nuovi prodotti di realtà aumentata (come quello dei Pokemon per rimanere su un «caso» di attualità). Rimane il fatto che in Cina ci sono circa 500 milioni di players di videogiochi. Un mercato immenso, anche rispetto alle cifre consuete offerte al di qua della muraglia.
Ma si tratta, in realtà, di un mercato spaccato in due in modo netto e l’ambito futuro per le console è risicato. Si calcola infatti che circa l’80 per cento dello spazio sia occupato dai videogiochi on line.
E la maggior parte di questi giochi avviene via smartphone attraverso l’applicazione WeChat, ovviamente, a fare da protagonista con una quota di mercato di oltre il 20 per cento. L’on line è il settore privilegiato dai cinesi, che si sono abituati a concepire il gioco proprio attraverso piattaforme su internet, per ovviare all’assenza della Playstation e della Wii.
In generale questa tendenza ormai avviata da tempo nel mondo dell’enterteinment cinese è un’ovvia conseguenza di un mercato che non ha una cultura di console a causa del blocco che è stato imposto proprio negli anni durante i quali i giochi per le piattaforme fisse sono migliorati moltissimo raggiungendo livelli impressionanti.
Nel tempo che è intercorso dal 2000 ad oggi – inoltre – la Cina ha provato una sua via ai videogiochi, tentando di sviluppare in casa un mercato capace di generare profitti per aziende cinesi, come già successo per altri settori. Poi nel 2014 il via libera prima nella zona di libero scambio di Shanghai, poi in tutto il paese.
Giocare in streaming
Non è andata proprio come ci si aspettava, il settore è cresciuto solo del 4 per cento rispetto al 14 degli anni scorsi e le stesse case produttrici hanno dovuto ammettere una certa delusione rispetto a quelle che erano le aspettative.
Come sottolineato da alcuni operatori di mercato, le cui voci sono state raccolte da Marketing Interactive, «una delle storie positive in Cina è stata l’ascesa di videogiochi in streaming. La crescente popolarità di questi giochi migliorerà anche il fascino per videogames su Pc e su smartphone, portando ad un aumento proporzionato della raccolta pubblicitaria, permettendo di allargare gli orizzonti del mercato».
E chissà che non arrivi il momento anche dei giochi su piattaforma, grazie agli sforzi che sia Sony sia Nintendo di sicuro compieranno in un mercato che non può essere abbandonato al caso.
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