Dopo un album autoprodotto che ha stupito la critica, il romano Diego Cignitti, in arte Cigno, torna con Nada! Nada! Nada!, anche questo orgogliosamente autoprodotto. Non gridiamo al miracolo ma quando ci arriva un bel disco, in cui si respira il tempo che viviamo, apocalisse e babilonia, con il carattere di sperimentazione sano, autonomo, possiamo prenderci una pausa da tante delusioni. Definirlo è un problema, tratti industrial, blues-rock, ipnotico, ascetico e colto, anarchico, ci sono delle sonorità del presente che lo avvicinano all’ultimo Iosonouncane. Come i suoi testi, anche la chiacchierata con Cigno ha un che di visionario e poetico, partiamo proprio dal suo rapporto con il passato: «Il presente non esiste, è solo un’illusione pensare di afferrarlo. Per la tradizione cristiana il passato è male, il presente è redenzione, il futuro è salvezza, per i greci invece il passato era oro. Io vivo come tragedia il mio presente, mi sento greco in questo senso, non spero più in nulla, ma lavoro concretamente e ciecamente come un artigiano nell’apocalisse. Non dobbiamo richiuderci mai nel manierismo, che è la più brutta conseguenza della retromania, sia dal punto di vista politico che artistico».

È IL BLUES ad averlo stregato sin da bambino: «La condizione di ribellione, la resistenza insita nel blues mi ha sempre ispirato, la condizione dannata del bluesman cieco, aedo del suo dolore». Cigno lavora con i simboli (come in Antéchrist), fa uso di messaggi criptici, dice «bisogna rinunciare alla libera reclusione», racconta i non allineati in A frate dolcino vengono amputati naso e pene, un brano è intitolato Ogochukwu, come il ragazzo nigeriano soffocato in strada a Civitanova Marche.

Cigno
Il messaggio politico non può che esserci, questo disco è dedicato a ogni condannato moderno da parte di ogni qualsivoglia nuova inquisizione Una narrazione esplicitamente politica: «Il messaggio politico non può che esserci, questo disco è contro gli abusi di potere, le condanne a morte, le persecuzioni. Antéchrist racconta questo bisogno di chiusura in se stessi, quando si dovrebbe rimanere animali sociali, penso all’associazionismo o alla necessità di riunirsi senza darsi dei contenitori predefiniti. Ogochukwu invece è stato ucciso nella messinscena della quotidianità, questa mediocre e sterile buona creanza, è morto soffocato dal Ku Klux Klan che indossa jeans e scarpe da ginnastica. È morto fra passanti indifferenti e incapaci di aiutarlo. Il razzismo è la matrice silente di questi atti osceni, ma soprattutto il razzismo contro i poveri, ci hanno messi dentro una guerra sociale, e noi ci siamo impegnati ad odiare l’altro, mentre la classe politica gozzoviglia a nostre spese».

NEL DISCO mette insieme influenze che sembrano distanti se ascoltate singolarmente, ma ascoltando l’album dall’inizio alla fine le varie suggestioni musicali si legano eccome: «Viviamo nel paese della morale cattolica, in cui non è possibile che due uomini o donne dello stesso sesso possano sposarsi, avere figli. Dobbiamo cominciare a togliere i pregiudizi. Forse quella convivenza di vari generi musicali di cui parli, di varie realtà che possono convivere in uno stesso spazio mentale, per me sono metafora o meglio teatro di quella utopia in cui io credo». Censure e torture, Stefano Cucchi tra le fiamme è un altro brano emblematico: «Mi è capitato spesso nella fase di scrittura di chiudere gli occhi, in questo incubo Stefano Cucchi è venuto a trovarmi, mi sembra di aver incontrato tramite lui tutti i condannati e gli eretici dei nostri tempi. Hanno ucciso Stefano per soddisfare la loro voglia di odio e violenza, il potere ha bisogno di violenza per auto-determinarsi. Questo disco è dedicato a ogni condannato moderno da parte di ogni qualsivoglia nuova inquisizione».