Quasi 10 mila i cassa integrati a Taranto. Con una nota stampa la Uil locale, a firma del suo coordinatore Pietro Pallini, ha diffuso un report impietoso circa la salute dello stato occupazionale della città in riva allo Ionio.

Il comunicato, alla luce dell’imminente nuovo largo utilizzo degli ammortizzatori sociali della Cig per i lavoratori di Acciaierie d’Italia, aiuta a fare luce su un territorio in cui la monocultura dell’acciaio, seppur zoppa e claudicante, continua a fagocitare qualsiasi altra possibile attività di sviluppo economico.

In un contesto in cui il tasso di disoccupazione è pari al 13,3% – decisamente superiore rispetto alla media regionale, ferma al 12,1%, e a quella nazionale che si attesta all’8,1% – l’occupazione, seguendo la tendenza, registra uno scoraggiante 38,4% rispetto al 52,2% nazionale.

In più, nel solo 2023, «la cassa integrazione ordinaria processata, ha rappresentato il 34% del totale in Puglia. Per quanto riguarda la cassa integrazione straordinaria – legata alle crisi aziendali più gravi – su un totale di 19.305 posizioni in Puglia, 11.208 sono state quelle relative a Taranto, pari al 58,6% del totale regionale». I numeri di quest’ultima, da aggiornare, sono destinati a crescere vertiginosamente. Sul territorio, oltre alla ben nota questione del siderurgico – ai lavoratori in Cig straordinaria di Ilva in as, vanno aggiunti i prossimi 4.200 di Adi per i quali i sindacati metalmeccanici hanno chiesto un confronto a palazzo Chigi rifiutando il tavolo per la Cig – incombono altre vertenze.

A partire dagli operai ex Taranto Container Terminal Spa, società che faceva capo alla compagnia Evergreen e aveva in concessione il molo polisettoriale tarantino. Quando il colosso cinese lasciò il porto ionico nel 2015, i lavoratori ex Tct, all’epoca più di 500, iniziarono un lungo periodo di naufragio ed incertezza economica. Confluiti e iscritti nella Taranto Port Workers Agency srl, agenzia del lavoro che svolge attività di supporto alla collocazione professionale, sono diventati 330. Operatori portuali qualificati, in perenne attesa del rilancio di  un’infrastruttura che avrebbe potuto, se guidata da politiche lungimiranti e con una visione, emanciparsi dall’acciaio piglia tutto. Attualmente vivono alla giornata, o di mese in mese per meglio dire, come le proroghe che estendono – attualmente fino al termine dell’anno – l’operatività delle agenzie del lavoro in quei bacini portuali contraddistinti da particolari stati di crisi aziendale.

Spostandoci più nell’entroterra, nella provincia di Statte, in questi giorni sono in corso gli scioperi dei 103 operai Hiab, azienda multinazionale che costruisce gru, contro la comunicazione di delocalizzare a Minerbio le attività manifatturiere, con conseguente proroga della cassa integrazione per tutto il personale a zero ore. Tutto questo, sottolineano le sigle, «è avvenuto al di fuori di un qualsiasi progetto industriale discusso con le organizzazioni sindacali».

A Grottaglie 931 lavoratori Leonardo, divisione Aerostrutture, si apprestano a subire tredici settimane di cassa integrazione ordinaria a zero ore.

Di proroga in proroga attendono anche i 50 lavoratori dell’Ex Cementir, la cui misura della cassa integrazione straordinaria per area di crisi complessa è prossima alla scadenza. Stessa identica sorte vissuta dai 91 lavoratori dell’ex Tessitura Albini a Mottola.

È un territorio intero, privo di politiche del lavoro e di una visione di futuro, ad essere in cassa integrazione quello della seconda provincia per numero di abitanti della regione. Un territorio in cui, come chiosa il report della Uil locale «sono emigrati 60.000 abitanti negli ultimi 40 anni, 3.000 dei quali nel corso dell’ultimo anno. Una città che si sta auto estinguendo nel silenzio generale».