Ciclofattorini e autorganizzazioni politiche
SCAFFALE «Rights against the machines! Il lavoro digitale e le lotte dei rider», di Marco Marrone pubblicato da Mimesis
SCAFFALE «Rights against the machines! Il lavoro digitale e le lotte dei rider», di Marco Marrone pubblicato da Mimesis
L’intuizione della centralità della forza lavoro nelle piattaforme digitali emerge dalla lettura dell’inchiesta sociale scritta da Marco Marrone Rights against the machines! Il lavoro digitale e le lotte dei rider (Mimesis, pp. 216, euro 16, prefazione di Federico Chicchi). Marrone racconta l’autorganizzazione politica e sindacale dei ciclofattorini in Italia a partire dall’osservazione partecipata della Riders Union Bologna. L’autodefinizione del collettivo allude a una nuova generazione di sindacalismo sociale cittadino e metropolitano, programmaticamente organizzato in autonomia. Un altro esempio rilevante di questa forma politica è Deliverance Milano. Snodi simili ci sono a Roma, e in altre città in queste o altre forme, e si sono dati anche a Torino, in particolare al tempo della vertenza contro Foodora, la prima di una lunga serie che ha portato a significativi avanzamenti nel riconoscimento del rider come lavoratore subordinato, anche se non ancora in maniera definitiva.
IL CONCETTO DI «UNION», derivato dalla tradizione anglosassone, va inteso in questi casi alla lettera: l’atto di unire due o più persone in nome della solidarietà indipendentemente dall’appartenenza nazionale e in ragione della condizione comune di sfruttamento e di cambiamento necessario. Fare «union» è una pratica che ha permesso di modificare e aggiornare le culture sindacali esistenti, a cominciare dai sindacati di base che le hanno sostenute da subito e quelle dei sindacati maggiori che hanno compreso e appoggiato le lotte nelle città e a livello nazionale. Questa pratica ha permesso al nuovo sindacalismo di unire una forza lavoro invisibilizzata dalle imprese, cioè sottratta attraverso artifici permessi da un uso opportunistico del diritto del lavoro riformato in termini neoliberali negli ultimi trent’anni. L’unione solidale, e l’azione politica coordinata, hanno fatto riemergere dall’invisibilità decine di migliaia di persone ridotte ad appendici organiche degli algoritmi. La congiunzione di questi elementi ha avviato un processo di riconoscimento dello status di lavoratori dipendenti collegandolo al contratto nazionale della logistica. Il libro di Marrone dimostra come l’azione della forza lavoro iper-precaria e multinazionale nell’economia digitale sia diventata pubblica e sociale. Il nuovo sindacalismo sociale metropolitano tende ad ampliarsi e può ibridarsi con chi, è accaduto a Bologna, immagina uno sviluppo alternativo alla città del cibo («Fico») basata sull’economia dell’arricchimento, della rendita e della gentrificazione.
È IN QUESTO MODO che la Union bolognese è riuscita a promuovere la Carta dei diritti dei lavoratori digitali e ha partecipato all’istruttoria pubblica su un modo di abitare diverso da quello imposto oggi lanciata da «Pensare Urbano». Questo libro consente di mettere in prospettiva la vicenda dei ciclofattorini: i rider sono la parte emersa dell’iceberg ancora inabissato del lavoro digitale necessario per fare funzionare le app, le piattaforme e i siti che usiamo giornalmente per acquistare, renderci visibili, commentare o muoverci nel mondo. Questa è la peculiarità dell’ultima rivoluzione digitale di solito trattata come un fenomeno magico oppure esecrata in quanto manifestazione di un dominio della tecnica. Nulla di tutto questo: ciò che rende intelligente l’algoritmo è la forza lavoro.
Il suo lavoro permette alla macchina di migliorare le sue prestazioni, mentre a chi lavora in carne ed ossa non sono riconosciuti i diritti fondamentali. Il rovesciamento politico, e culturale, è di grande importanza.
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