Lavoro

«Cibo e sfruttamento», il caporalato in Lombardia

«Cibo e sfruttamento», il caporalato in LombardiaLavoro nei campi – Ansa

Agro-alimentare Meloni, insalata in busta e allevamenti intensivi dei suini: una filiera dello sfruttamento che inizia nei campi, passa dai capannoni della logistica e finisce dagli scaffali dei supermercati alle nostre tavole. Il rapporto dell’associazione ambientalista Terra! svela uno spaccato inedito della Regione

Pubblicato più di un anno faEdizione del 6 luglio 2023

Finte cooperative, paghe da fame, contratti irregolari, turni di lavoro massacranti con la schiena ricurva verso terra, tra meloni, zucche, zucchine, insalate; sotto al sole cocente come nelle serre riscaldate per raccogliere la verdura anche fuori stagione. Siamo nella ricca Lombardia dove lo sfruttamento nei campi sta lentamente uscendo dall’invisibilità al quale era stato relegato per anni. Merito anche di lavori d’inchiesta come l’ultimo rapporto dell’associazione ambientalista Terra! dal titolo Cibo e sfruttamento – Made in Lombardia. 70 pagine dettagliate scritte con un gruppo di giornalisti e fotografi che hanno lavorato per mesi sul campo e tra i campi, in particolare tra Mantova, Cremona, Brescia e Bergamo. Sono tre le filiere prese in considerazione: meloni, insalata in busta e allevamenti intensivi dei suini. Ne esce uno spaccato inedito di Lombardia che le istituzioni, a partire da chi governa la regione da oltre vent’anni, non possono più ignorare.

Bastano alcuni numeri per capire quanto sia imponente il settore agricolo lombardo. La Lombardia con i suoi 14 miliardi di euro di valore della produzione agro-alimentare è la prima regione italiana del comparto ed è anche una delle regioni più colpite da procedimenti giudiziari riguardanti il caporalato. Su 260 processi aperti più della metà, 143, non sono al Sud e le regioni più colpite dopo Sicilia, Calabria e Puglia sono Lombardia e Veneto, come indica l’ultimo rapporto del Centro ricerca interuniversitario l’Altro Diritto/Flai-Cgil.

Ma cosa vuol dire parlare di caporalato al Nord? «Qui la figura del caporale si è trasformata in quelle che vengono definite le cooperative senza terra» spiega Fabio Ciconte, direttore dell’associazione Terra! e supervisore del report. «Sono cooperative formalmente legali che prendono in subappalto i lavori delle aziende agricole o delle industrie di trasformazione, un caporalato legalizzato». È una filiera dello sfruttamento che inizia nei campi, passa dai capannoni della logistica e finisce dagli scaffali dei supermercati alle nostre tavole. È sul prezzo finale degli alimenti che si regge questa corsa al ribasso dei diritti dei lavoratori.

«La Gdo, la grande distribuzione organizzata, impone prezzi finali bassi e a farne le spese sono i lavoratori e le lavoratrici della filiera» racconta ancora Ciconte. Questa è anche una storia di responsabilità che vengono gettate sempre su qualcun altro. Le aziende agricole affidano pezzi di lavoro alle finte cooperative che subappaltano a loro volta a gruppi di persone che fanno lavorare chi di volta in volta, anche su base etnica, finisce nel loro giro.

«La vita reale delle persone che lavorano è drammatica» dice ancora Fabio Ciconte. Il report racconta alcuni dei trucchi utilizzati dalle aziende agricole, come quei casi dove l’imprenditore si assicurava un lavoro continuativo per tutto l’anno ma non registrava più di 180 giornate, il numero necessario ad accedere alla disoccupazione agricola. In quel modo l’imprenditore paga meno tasse e tiene il lavoratore in una condizione di subalternità e ricattabilità. Il rapporto, fatto anche con il supporto di Fondazione Cariplo, si conclude con un appello al Governo affinché rafforzi le misure ispettive che dipendono dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro e alla Regione Lombardia che può approvare misure di contrasto al caporalato a livello regionale, come fatto ad esempio in Toscana e Lazio. Rotto il silenzio è tempo di passare all’azione anche a queste latitudini. 

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