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Ci vorrebbe una lenzuolata sui privilegi

Ci vorrebbe una lenzuolata sui privilegi

Nel piano di resilienza L’azione di regolamentazione delle attività economiche e professionali, da parte del potere pubblico, risponde proprio all’esigenza di prevenire conflitti d’interesse o di contrastare tendenze monopolistiche. La crisi economica, d’altra parte, alimenta egoismi, difesa di posizioni acquisite, chiusure corporative

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 12 febbraio 2021

La riforma della concorrenza è tra quelle indicate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). In effetti, dopo «lenzuolate» di Bersani nel 2007, si è fatto poco o niente in questa direzione. L’allora ministro dello sviluppo economico si intestò alcuni provvedimenti che, nell’Italia delle tante prepotenze del mercato e ingessata dai tanti privilegi corporativi, fecero rumore.

Con eccessiva enfasi le lenzuolate furono considerate l’inizio di un’ondata di liberalizzazioni. In realtà si trattò di misure limitate – come l’abolizione dei costi fissi per le ricariche telefoniche, la portabilità dei mutui senza il pagamento di penali, la cancellazione della firma notarile per i passaggi di proprietà degli autoveicoli, e poche altre – apprezzate per la capacità di produrre risparmi e semplificare la vita dei cittadini. L’aspetto paradossale della vicenda è che a farle sia stato un uomo di sinistra. A dimostrazione di quanto spazio di iniziativa e di movimento possa aprirsi quando si prendono di petto i problemi e le difficoltà che la gente incontra quotidianamente.

Le lenzuolate non ebbero alcun seguito né l’Autorità antitrust (l’Agcm), in tutto questo periodo, è stata prodiga di suggerimenti e proposte. Ben venga, dunque, la raccomandazione (o “condizionalità”, come si dice) della Commissione europea. I nodi strutturali che pesano sulla nostra economia sono tanti, di difficile soluzione, a volte inestricabili. Le vicende di Alitalia e di Autostrade sono lì a ricordarcelo. Ma anche quelle relative alla gestione del gas, dell’energia, della banda ultra larga. E aggiungerei le concessioni per la gestione delle linee marittime, delle attività portuali o ancora degli stabilimenti balneari, mai messi a gara.

La concorrenza è il cuore del mercato, secondo il pensiero liberale è garanzia di un suo corretto funzionamento, ma è continuamente messa in discussione dalle contraddizioni insite nel sistema capitalistico e nel suo concreto funzionamento. L’azione di regolamentazione delle attività economiche e professionali, da parte del potere pubblico, risponde proprio all’esigenza di prevenire conflitti d’interesse o di contrastare tendenze monopolistiche.La crisi economica, d’altra parte, alimenta egoismi, difesa di posizioni acquisite, chiusure corporative.

È clamoroso quello dei farmacisti. Il numero e la distribuzione delle farmacie sono ancora rigidamente contingentati, con la riserva in via esclusiva sia della vendita di farmaci con prescrizione medica sia di una serie di servizi assistenziali (come la prenotazione di visite specialistiche, il ritiro dei referti, le analisi di laboratorio di prima istanza). Alle parafarmacie tutto ciò è assurdamente precluso. È una limitazione difficile da spiegare in tempi di emergenza sanitaria, quando tutti i farmacisti, senza distinzione alcuna, dovrebbero concorrere alla salute pubblica.

In sintesi, le barriere poste all’ingresso di alcune professioni e attività sono retaggi del passato. Non trova giustificazione alcuna fissare un “numero chiuso” per alcune facoltà o addirittura per avere una licenza di taxi o di una rivendita di tabacchi. Consentire privilegi piccoli e grandi a corporazioni varie è un altro modo, in ultima analisi, per alimentare disuguaglianze e ingiustizie.

Come dimostra la figura del notaio emblema di guadagni e privilegi immotivati. La cosiddetta «riserva di attività» dei notai si configura come una rendita di posizione che non ha eguali nel resto d’Europa ed è causa di maggiori oneri per i cittadini e per le imprese. Da un calcolo fatto sul numero dei rogiti e sul loro valore complessivo, risulta che poco più di quattromila notai incassano una cifra che supera i tre miliardi all’anno a fronte dei 7 miliardi che vanno allo Stato tra imposte di registro, catastali e ipotecarie.

Con la digitalizzazione del Catasto e il suo decentramento, gli enti locali, opportunamente attrezzati e coadiuvati da avvocati esperti in materia, avrebbero infatti tutte le carte in regola per dare certezza e legittimità ai passaggi di proprietà. Si avrebbero certamente effetti positivi in termini di riduzione dei costi e di allargamento delle opportunità di lavoro. La casta notarile perderebbe una parte degli attuali privilegi, le amministrazioni locali potrebbero applicare tariffe meno esose. Una lenzuolata non è il socialismo, ma di certo un piccolo passo verso una società più giusta.

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