L’elezione di Mimmo Lucano al Parlamento europeo e nuovamente a sindaco di Riace riporta in primo piano la questione dei diritti dei migranti. Per me, che con Dino Frisullo fui la portavoce della rete antirazzista italiana (1994-1998), riporta alla mente quell’esperienza da cui è nato l’impegno e si è costruita la cultura dello stesso Mimmo Lucano.

Oggi quell’esperienza, breve e intensa, può essere oggetto di riflessione per la ricostruzione di un movimento unitario per i diritti dei migranti.

Il 25 agosto 1989, a Villa Literno venne assassinato da una banda di criminali razzisti il bracciante Jerry Essan Masslo: un profugo di 29 anni che, nonostante costretto a fuggire dal Sudafrica dell’apartheid, per la legislazione italiana dell’epoca non aveva diritto all’asilo. Di conseguenza, il 7 ottobre successivo si svolse a Roma il primo grande corteo nazionale contro il razzismo, cui parteciparono ben duecentomila persone, fra le quali un gran numero di persone immigrate e rifugiate.

Fu anche questa grande manifestazione a incrementare l’attenzione pubblica verso il tema del razzismo e della condizione delle persone immigrate e rifugiate, ma anche a creare le condizioni che avrebbero condotto alla nascita della Rete Antirazzista.

Essa svolse un ruolo fondamentale in quel periodo, perché dette – per la prima volta in Italia – voce e rappresentanza politica a una miriade di piccole e significative esperienze locali e formò un’intera generazione di militanti, volontari e studiosi dell’antirazzismo.

La Rete ebbe il suo battesimo il 6-8 ottobre 1995, a Napoli – la Napoli del sindaco Bassolino – quando, dopo due giorni di confronto tra le varie realtà presenti, si varò un documento-base e una prima forma di coordinamento nazionale.

Ad aderire alla Rete Antirazzista furono ben 140 associazioni e gruppi di base di tutta Italia.

Nel documento d’intenti, presentato in forma di bozza nell’assemblea nazionale di Napoli, così si scriveva: «La Rete, decentrata e plurale, ha per scopo far circolare conoscenza, elaborazione, informazione; offrire visibilità e rilievo nazionale alle esperienze locali, informare sulle dinamiche istituzionali, costruire un comune orientamento e un comune linguaggio dell’antirazzismo».

Fu anche grazie a Dino Frisullo se riuscimmo a realizzare una tale Rete, che resterà l’unica esperienza di coordinamento fra un gran numero di associazioni di dimensione regionale, provinciale, cittadina, in svariate parti d’Italia.

Fu un’esperienza che lui, io e altre/i non abbiamo mai smesso di rimpiangere, poiché fu caratterizzata da un antirazzismo tanto colto quanto radicale, che anticipò di molti anni analisi, temi e rivendicazioni che oggi si crede siano inediti: le persone migranti, profughe, rifugiate quali soggetti esemplari del nostro tempo, la critica alla vulgata differenzialista allora in voga, il tema della cittadinanza europea di residenza, la battaglia per il diritto di voto e la civilizzazione delle competenze sul soggiorno, la severa critica ai Centri di permanenza temporanea e ad altre magagne della legge detta Turco-Napolitano.

Comparato con l’antirazzismo radicale quanto còlto che caratterizzò la Rete antirazzista, quello attuale si manifesta di una notevole povertà intellettuale.

Della Rete fummo portavoce inizialmente Dino, io e Udo Enwereuzor. Vi aderirono perfino grandi organizzazioni come la Cgil e l’Arci, le quali, prevedibilmente, se ne allontanarono allorché il “governo amico” (il Prodi-uno) si apprestava a varare la già citata, famigerata legge Turco-Napolitano. Era una legge che, tra l’altro, istituiva i Cpta (detti abitualmente Cpt), allora nominati, con un assurdo eufemismo, Centri di permanenza temporanea e assistenza. In conclusione, con la legge Turco-Napolitano s’istituiva, per la prima volta in Italia, la detenzione amministrativa di persone immigrate «non regolari», in aperta violazione della Costituzione.

Fin dalla loro apertura i Cpt avrebbero ucciso loro “ospiti”. A partire dalla notte di Natale del 1999, ne morirono sette in tre giorni, tutti cittadini tunisini.

Già due anni prima, nel 1997, la Rete Antirazzista, prevedendo che la Turco-Napolitano non sarebbe stata quella meraviglia di cui si favoleggiava, elaborò tre proposte di legge d’iniziativa popolare, il cui contenuto ancor oggi appare assai avanzato. Ne elenco sinteticamente i punti essenziali: il trasferimento dalle Questure agli enti locali delle competenze in materia di soggiorno; il riconoscimento del diritto di voto a tutti/e i/le cittadini/e stranieri/e residenti in Italia da almeno cinque anni; la riforma del regime giuridico relativo alla cittadinanza italiana.

Per portarle in parlamento, avremmo dovuto raccogliere 50.000 firme nell’arco di tre mesi. Ma – inutile dirlo – anche grazie alla defezione dell’Arci e della Cgil, non riuscimmo a raggiungere il numero necessario; e dunque a impedire il varo di una legge che avrebbe poi aperto la strada alle aberrazioni della Bossi-Fini.

Oggi, di fronte allo stillicidio quotidiano di esodi che hanno come epilogo la morte in mare di centinaia di profughi o il forzato ritorno alle tragedie e alle persecuzioni da cui hanno tentato la fuga, ci sorprendiamo a pensare: certo, il frenetico attivismo di Dino Frisullo e della Rete Antirazzista, non riuscirebbero, da soli, ad aver ragione della nostra debolezza politica e della rozza e feroce arroganza degli imprenditori politici del razzismo.

Eppure quanto ci mancano e quanto ci sarebbero preziosi, proprio in questo momento, le decine di comunicati al giorno di Dino, che arrivavano in ogni redazione e in ogni angolo d’Italia, la sua inflessibile caparbietà cui nessuno riusciva a sfuggire, il suo ostinato lavoro da vecchia talpa che scova, porta alla luce e denuncia ingiustizie e crimini contro i dannati della terra, la sua capacità di opporre dati, cifre, fatti alle pataccate dei praticanti della xenofobia e del razzismo.

Dino, intanto, fra i molti impegni politici, aveva sposato anche la causa della liberazione del popolo curdo. A tal punto che quando, tra il 1996 e il 1997, iniziarono ad arrivare sulle coste del Sud d’Italia barconi pieni di profughe/i curde/i, due di essi riportavano sulle fiancate il suo cognome, sia pure scritto in modo impreciso. Uno di questi episodi segnò la popolazione di Riace e l’esperienza di Mimmo Lucano.

Si era al tempo del primo “governo amico” (il Prodi I) e la voce fuori dal coro della Rete Antirazzista sarà presto messa a tacere. Incredibilmente (o indegnamente, sarebbe più giusto dire), nel 1998, proprio mentre Dino era recluso nel carcere speciale di Diyarbakir, con l’imputazione di «istigazione alla rivolta per motivi linguistici, religiosi o etnici», alcune/i della Rete pensarono bene di convocare un’assemblea nazionale per il 17-19 aprile 1998: stranamente a Lecco, nel profondo Nord leghista. E lì l’assemblea decise a maggioranza lo scioglimento dell’unico coordinamento antirazzista che vi fosse mai stato in Italia. Il quale riuscì a unificare il massimo di ciò che poteva essere unito, che anticipò di molti anni l’idea che i/le migranti siano soggetti esemplari del nostro tempo e che potesse esistere la cittadinanza transnazionale.

E tuttavia, come io scrivevo nel documento da me proposto e discusso nell’assemblea nazionale di Lecco, «il fatto che le campagne per la raccolta delle firme per le tre leggi d’iniziativa popolare si siano rivelate come una fuga in avanti, nulla sottrae alla validità e alla stringente attualità degli obiettivi che intendevamo proporre (…). Gli obiettivi del diritto di voto e della civilizzazione delle competenze devono essere rilanciati, pur con forme e modi differenti, poiché è qui che si misura la differenza fra una concezione egualitaria e democratica dell’integrazione e una concezione paternalistico-integrativa».

Uno dei tanti, grandi meriti di Dino Frisullo, che vorrei sottolineare a ventun’anni dalla sua morte, è stato quello di aver colto perfettamente che il senso della “grande storia” può essere rintracciato nelle “piccole storie” di dominazione, oppressione, discriminazione di una popolazione, di una minoranza, di un gruppo, ma anche nell’infelicità e nei drammi di ciascuna/o dei suoi membri, di ogni profuga/o, di ogni migrante, di ogni oppressa/o: la vicenda “minore” di un/a profugo/a morto/a, soffocato/a nella stiva di una nave può dirci del mondo attuale più di un freddo saggio di geopolitica.

* Dino Frisullo, attivista e giornalista, è morto il 5 giugno 2003, nel giorno del suo 51esimo compleanno. Come ogni anno nel mese di giugno l’Associazione Senzaconfine lo ricorderà a Roma. L’appuntamento è per oggi alle ore 10,30 all’ingresso del cimitero del Verano, lato Scalo San Lorenzo.