Cultura

Chungungo, storia di iniziazione in una zona di confine

Chungungo, storia di iniziazione in una zona di confinePescherecci nel porto di Iquique

Narrativa latinoamericana «Terra di campioni», il romanzo dello scrittore cileno Diego Zúñiga edito da La Nuova Frontiera

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 8 giugno 2024

Un ragazzino ferito dall’abbandono dei genitori, che svaniscono nel nulla senza congedarsi, ma che viene adottato da una comunità di pescatori insediata in una caletta nei dintorni di Iquique, sulla costa nord del Cile, e unita dalla fatica quotidiana, dalla paziente perlustrazione dell’oceano e dalle innumerevoli storie che si raccontano nelle sere di sbornia e di riposo. Un quasi-orfano che conquista sott’acqua identità e soprannome, quando la famiglia elettiva si rende conto delle sue straordinarie capacità di pescatore subacqueo e lo battezza Chungungo, come la piccola nutria perpetuamente a caccia tra le foreste di kelp e le scogliere, dal Perù fino alla Patagonia.

Il chungungo

PROTAGONISTA di Terra di campioni, terzo romanzo del cileno Diego Zúñiga (La Nuova Frontiera pp 224, euro 17, traduzione di Federica Niola), Chungungo Martínez è accattivante e sfuggente quanto la bestiola da cui prende il nome, e come lei sembra sentirsi al sicuro soltanto quando si immerge nel mare, sterminato rifugio dove, dicono i versi di Bárbara Délano posti in epigrafe, «va a finire tutto ciò che si perde», compresi i corpi dei morti che la dittatura ha fatto sparire e che oscillano tra le alghe, sul fondo.
Secondo una tenace leggenda mai confermata e nota a ogni abitante di Iquique (compreso Zúñiga, che là è nato nel 1987) a fare quella terribile scoperta fu in realtà il vincitore dei campionati mondiali di pesca subacquea del 1971, Raúl Choque, cui l’autore si è ispirato e che con il Chungungo ha molte cose in comune: entrambi nati a Calama, ai bordi del deserto, entrambi di poverissime origini, abili pescatori e campioni travolti da una fama che porterà con sé gioie inattese, ma anche invidie, rancori e delusioni.
Il romanzo, però, non ha nulla della biografia e si limita a prendere spunto da una storia vera per elaborare un racconto vario e mutevole, la cui voce narrante è un amico d’infanzia del Chungungo che, dopo averlo perso di vista per molti anni, ne ricostruisce le vicende ricorrendo all’antica intimità, all’immaginazione, a supposizioni e ad articoli di giornale, sul filo di una distanza che va crescendo con gli anni e che giustifica vuoti, assenze e cambiamenti di ritmo, oltre a consentire l’adozione di forme diverse, dall’oralità a suggestioni liriche, fino al breve fraseggio della cronaca sportiva e ai bizzarri riassunti del Reader’s Digest, unica lettura del giovane Chungungo e della sua amica Violeta.

TESTO SEDUCENTE e complesso nonostante una esibita semplicità, Terra di campioni si può leggere allo stesso tempo come romanzo di iniziazione, come storia di sopravvivenza e solidarietà, come ritratto di una zona di frontiera che riafferma la propria identità e un modesto orgoglio provinciale, in un paese centralizzato come il Cile, aggrappandosi al successo dei suoi eroi sportivi, siano calciatori, pugili o pescatori subacquei. A fare da sfondo è un ventennio di storia cilena, dagli anni ’50 all’elezione di Allende, fino all’improvvisa ferocia della dittatura, così da suggerire anche una lettura politica, insinuata dall’autore in modo indiretto ma inequivocabile, a conferma della sua intenzione di «pensare il mondo» allontanandosi dalla pura testimonianza e da ogni intento didascalico per adottare uno sguardo attento soprattutto ai processi narrativi, ma non per questo meno capace di proporre una riflessione su un passato da cui nasce il convulso presente del paese.
È grazie a questo procedimento che Zúñiga – al momento uno degli autori più solidi della scena letteraria cilena – disegna la propria genealogia, rifacendosi ad autori come Marta Brunet, Manuel Rojas, Germán Marín o Carlos Droguett, ma anche a poeti i cui nomi si diverte ad assegnare ai personaggi, in un gioco ben riconoscibile dai lettori cileni (e anche da qualche lettore italiano): Juan Luis Martínez, Nicanor Parra, José Ángel Cuevas o Violeta Parra.

LA RIVISITAZIONE e il ripensamento di questa tradizione illustre sembrano affermare la scelta di mettere in campo «forze plebee» e un «noi» ancora fragile, ma deciso a resistere e a progettare il futuro, dichiarando l’estraneità dell’autore all’estetica della sconfitta, cui secondo Juan Cardenas – scrittore colombiano e acuto recensore di Terra di campioni – la letteratura cilena post-dittatura avrebbe aderito, trasformando il trauma in rassegnato intimismo o in «merce sentimentale». E a tutto questo si aggiunge l’intenso legame con un paesaggio al centro di infinite mitologie nazionali e di episodi storici, quali la chiusura delle miniere di salnitro o la Guerra del Pacifico, come non manca di sottolineare una catena di ricordi e piccole cronache individuali abilmente inserite nel romanzo.
Un paesaggio potente e unico, quello del grande nord cileno: prima ancora dell’oceano, il deserto – al centro anche di Camanchaca (libro d’esordio di Zúñiga, ripreso da La Nuova Frontiera nel 2018 e già apparso nel 2012 presso Caravan), e del successivo Racimo, del 2014 –, l’immenso deserto traboccante di simboli e presenze fantasmatiche, che la dittatura trasformò in carcere e cimitero e dove i passi del Chungungo sono destinati, in un finale aperto e dal sapore onirico, a perdersi nel buio.

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