Un’ovazione trionfale accoglie la conclusione del Sacre du printemps: applausi scatenati, poi scanditi a ritmo regolare, come un battito di tutta la cavea. Esile, elegante, pantaloni larghi, orientali, una casacca leggera, Chung Myung-whun attacca, a sorpresa, il bis: ripete una sezione del Sacre. Il concerto assume la forma di una iniziazione. Due partiture che intendono intonarsi alla Natura sono a confronto: la Sesta Sinfonia «Pastorale» di Beethoven e il Sacre di Stravinskij, una visione illuministica, di armonia universale, di progresso, l’utopia di un’umanità pacificata, da una parte, e l’irruzione del caos, del disordine, dell’inaspettato, dall’altra, seguita, l’anno dopo, dallo scoppio della prima guerra mondiale. Eppure le due partiture a confronto finiscono per dire la stessa cosa. Chung attacca la Pastorale con incredibile morbidezza e flessuosità melodica. Ecco ciò che Beethoven voleva comunicarci con il titolo del primo movimento della sinfonia: «Risveglio di impressioni gioiose all’arrivo in campagna». La Natura ci accoglie, un senso di pacificazione ci rasserena. Poi vengono suadenti i flussi di un ruscello e il canto degli uccelli – quasi musica «concreta» più di un secolo prima –, le danze dei contadini: la gioia sembra generale. Ma scoppia un temporale, il disordine occupa tutti gli spazi che erano dell’ordine.

L’ILLUMINISMO di Beethoven non è ingenuo, non nasconde il buio, il terribile della realtà. E quando la tempesta si calma, s’innalza dall’orchestra un canto di ringraziamento. È una storia cosmica, nell’interpretazione di Chung, che Beethoven ci sta rappresentando. La delicatezza dei timbri, la precisione delle voci in contrappunto tessono l’ordito di una struttura armoniosa del creato. Tanto più aggressiva appare allora la violenza del disordine, quando la musica di Stravinskij irrompe a distruggere questa calma.
Nell’equilibrio di buio e luce si costruisce una delle pagine più affascinanti di tutta la storia della musica europea. Dolcemente si avvia anche il rito della primavera, il fagotto intona una melodia incerta, fluttuante, che può ricordare perfino il Gershwin della Rapsodia in blu. Ma la minaccia del disordine, del sacrificio prende subito corpo. Dietro la lettura di Chung c’è, certo, la lucida analisi di Boulez, ma vi si riscontra qualcosa di più: come se il disordine fosse senza redenzione, l’orrore senza un risarcimento. ogni particolare è messo in evidenza con diamantina precisione e con inflessibile violenza. Il contrappunto dei ritmi rende più acerbo il contrappunto delle melodie. Un percorso verso il niente. Verso la morte della vittima sacrificale, vuole il soggetto del balletto. Ma, forse, anche di tutti noi. Chiunque sarebbe, a questo ascolto, esploso in un tripudio plaudente. Un’interpretazione da manuale, da lezione cattedratica. Beethoven e Stravinskij leggono le nostre angosce, ma hanno anche la cura di placarle: l’unica concessa all’uomo, guardarle, pensarle e raccontarle. Con la musica.