Christmas song, «classiche» tentazioni
Benché nel corso dei secoli tanto la musica dotta – grazie a Bach (Oratorio di Natale, BWV 248), Corelli (Concerto di Natale), Haendel (Il Messia), Vivaldi (Inverno), Berlioz (L’énfance du Christ), Mendelssohn (Udite! Gli angeli dell’araldo cantano), Ciaikovskij (Le stagioni e per molti versi Lo schiaccianoci) – e quella folk partenopea Quando nascette ninno divenuta grazie ad Alfio Maria de’ Liguori Tu scendi dalle stelle) produca rari ma grandi capolavori, è però attraverso la pop music – con il solo precedente nel 1818 di Stille Nacht del compositore austriaco Franz Xaver Gruber, la cui fama in vita è circoscritta – che il Natale diventa musicalmente un fenomeno rilevante, soprattutto a livello discografico: nel 1943 White Christmas di Irving Berlin (languidamente interpretata da Bing Crosby) e nel 1957 l’eccentrico album Christmas di Elvis Presley gettano in maniera inconscia le basi rispettivamente della «Christmas song» e del «Christmas album», a cui si adeguerà l’intera macchina discografica, condizionando persino l’area classica e folk.
A parte qualche cedimento negli anni Sessanta più rock e sperimentali, il Natale su disco ha continuato a imperversare negli anni Settanta, si è impennato negli anni Ottanta con pezzi di beneficenza come Do They Know It’s Christmas? o con classici del genere come Last Christmas (Wham!), attraversando i decenni successivi e rinforzandosi in tempi più contemporanei con lounge, jazz moderato o canto swing (il tutto ora definito modern mainstream); in pratica ambiti in cui i maggiori divi pop, rock, gospel, soul, jazz fanno a gara a registrare il proprio omaggio canoro (o strumentistico), con un indotto che serve altresì da trampolino di lancio persino nel settore discografico classico.
Quest’ultimo non si muove tanto per autori quanto piuttosto per tematiche o per interpreti; a beneficiare del boom di pop e jazz natalizio sono anzitutto i divi della musica lirica i quali, già sotto forme ibride (recital inclusivi di repertori extracolti culminati nelle serie dei Pavarotti & Friends) dagli Eighties hanno audience rilevantissime: a far da apripista è il Christmas dei Three Tenors esattamente 30 anni fa (1993).
I TITOLI
Da allora sono molti gli album di Luciano Pavarotti, José Carreras e Plácido Domingo, pubblicati ogni dicembre tutti insieme o separati in differenti versioni o con ristampe frenetiche (e copertine modificate), che sono d’intralcio al compito di presentare una discografia esauriente. Tra le decine di titoli, si stacca, per insolite qualità, Merry Christmas from Vienna (1997) dove Domingo viene affiancato dalla soprano cinese Ying Huang e dal cantante easy listening Michael Bolton, in studio con la Vienna Symphony Orchestra diretta da Steven Mercurio. Sempre Domingo duetta in Merry Christmas (2016) con la showgril russo-tedesca Helene Fisher accompagnata dalla Royal Philarmonic Orchestra, in un progetto di ben 21 brani comprensivi di incontri virtuali con Crosby e Frank Sinatra. Del resto, se una soprano, avvicinatasi al pop, come Charlotte Church in Dream a Dream (2000) resiste alla tentazione del duetto, non così può dirsi della celebre Renée Fleming che con Christmas in New York (2004) sceglie quale partner in 9 pezzi su 13 soprattutto jazzisti: Wynton Marsalis, Brad Mehldau, e i vocalist Gregory Porter, Chris Botti, Kurt Elling. Per tutti il repertorio spazia tra un mix di inni natalizi popular e classicheggianti con qualche nuova canzone aggiunta, mentre anche Il Divo, vocal quartet internazionale formatosi a Londra, quale versione giovanilista dei Tre Tenori, si adegua a questa tendenza in The Christmas Collection (2005) insistendo su un melodismo romantico di ispirazione «facile ascolto».
Sul versante opposto vi sono dischi che paiono simbolicamente contrastare i «Christmas album» impostati sul carisma divistico, rilanciando invece la registrazione fonografica quale momento di volta in volta di studio, conoscenza, sapere, cultura delle origini sia nobili sia soprattutto plebee della musica natalizia stessa: tra le molte uscite degli ultimi decenni, va citato in primis il cd Medieval Christmas (1986) dei londinesi Pro Cantionen Antiqua & Medieval Wind Ensemble diretti da Mark Brown con 27 brani anonimi in latino dei secoli XIII-XV provenienti da Inghilterra, Francia, Germania. Fra storia e geografia l’antico Natale in musica viene oggi riproposto attraverso ricerche filologiche su compositori, partiture e strumenti musicali a livello regionale: Noëls de Provence (2018) è uno splendido esempio di ricchezza sonora nella Provenza settecentesca grazie ad autori quali Chédeville, Beauvarlet-Charpentier, Saboly, Archimbaud, Corette, Balbasytre, Charbonnier, D’Aquin interpertati da Jean-Christophe Maillard (cornamuse barocche), Francois Dujardin (flautini e tamburello), Silvano Rodi (organi). Lungo le Alpi, Provenza e Occitania vengono quasi a coincidere nei secoli per lingua, arte, usi, costumi, e il sestetto italiano Gai Saber in Angels Pastres Miracles (2010) sceglie 11 pezzi anonimi che si perdono nella notte dei tempi, ora in versione world music nella «langue d’oc».
LEGAMI FOLK
Incline alla coralità ottocentesca, preservata nelle scuole popolari dei piccoli borghi, Natività e nascita nei canti popolari piemontesi (2004) è un disco curato dal musicologo Alberto Lovatto che affida al Coro Bajolese (gruppo cult nel folk revival europeo) l’esecuzione a cappella perlopiù in dialetto. E a questo punto non si può dimenticare, per i forti legami etnici, il ruolo degli zampognari del proletariato contadino che girano l’Italia ancora oggi e che una tantum hanno la fortuna di finire su disco come avviene in Natale con le zampogne (2001) dell’Associazione Corale di San Cassano di Montemarciano (Ancona). Tuttavia il fenomeno più attivo, soprattutto nel mondo anglosassone, di canto natalizio trasformato da folklore urbano in musica classica è la carola (carol in inglese), dove la produzione registrata appare sterminata: persino Carla Bley con Carla’s Christmas Carols (2009) ne fornisce una versione jazzata. A un primo approccio sono sufficienti tre dischi per comprendere la bellezza «classica» della carola natalizia: The Naxos Book of Carols (2004) di Tonus Peregrinus e Antony Pitts; Silent Night (2010) di Harry Christophers & The Sixteen; e il raffinatissimo Carols by Candlelight (2009) del Choir of Magdalen College (Oxford) diretto da Bill Ives; al rigore esecutivo talvolta però difetta la scelta repertoriale, ormai tendente a mescolare la pop song alla musica dotta, cosa che, andando indietro di qualche decennio, già le Christmas Carol (2014, con incisioni del periodo Quaranta-Cinquanta) a nome di Mantovani & His Orchestra, restano antesignane del gusto di ibridare formule e differenti esperienze.
Tutto questo è forse qualcosa di sotteso all’idea stessa del disco natalizio «serio» al punto che uno dei più fortunati esempi, in quanto a successo commerciale è il Karajan Christian Album (2014) furbesca antologia tra concerti barocchi e song a tema con la soprano Leontyne Price diretti da Herbert Von Karajan in vari momenti di una lunga carriera. Strizzano l’occhio alla moda persino, nell’oscillare tra dotto e popolare, tre bizzarri cd quali Christmas with Salut Salon (2014), Trans-Siberian Orchestra Christmas Piano Tribute (2007), A Christmas Present Form Polyphony (2004). Per chi invece preferisce una festività vintage, occhio al cofanetto di 5 cd The Joy of Christmas (2009) che presenta l’idea musicale più eterogenea possibile spaziando, tra il 1951 e il 1983, dal Philadelphia Brass Ensemble al Fiedler Boston Pops, da Giancarlo Menotti a Marilyn Horne, fino alla Philadelphia Orchestra di Eugene Ormandy.
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