Chris Offutt, piccole afflizioni a valle degli Appalachi
Scrittori statunitensi Attanti male in arnese, afflitti da una stanchezza palpabile vengono descritti da Chris Offutt con un’impassibilità venata di ironia: «Di seconda mano», racconti da minimum fax
Scrittori statunitensi Attanti male in arnese, afflitti da una stanchezza palpabile vengono descritti da Chris Offutt con un’impassibilità venata di ironia: «Di seconda mano», racconti da minimum fax
«La vita stanca che si appoggia allo stipite di una vecchia porta sgangherata, la vita di tutte le cose che un uomo ha usato e abitato – un cappotto, una scarpa, la fascia del tuo cappello malconcio, mio caro… Ma non puoi più tornare a casa». Si conclude così il ponderoso romanzo di Thomas Wolfe, La ragnatela e la roccia, epitome della nostalgia che tanto spesso caratterizza la letteratura del Sud bianco. Indubbiamente incline a un certo sentimentalismo, Wolfe resta uno degli scrittori più legati a quella attitudine esistenziale che è rivolta a un passato dai contorni edenici, continuamente messo in contrasto con le rovine del presente. Il risultato è un’elegia inconsolabile, in cui il progresso diviene un motore inarrestabile di decadenza umana e spirituale. Fra i vari esempi di regionalismo dall’America meridionale, la letteratura degli Appalachi rurali ha dimostrato in particolare una forte tendenza a utilizzare i toni malinconici dell’idillio pastorale perduto, descrivendo l’evoluzione (o la caduta) di un mondo da sempre refrattario al progresso e orgogliosamente avverso alla modernità, la cui strenua, disperata difesa è però destinata a cedere sotto i colpi inesorabili delle dinamiche contemporanee di produzione e consumo.
Tra gli scrittori che proseguono questa tradizione nel XXI secolo, Chris Offutt è certamente tra quelli più legati alla visione nostalgica di Thomas Wolfe, nonostante il suo stile si distacchi del tutto dalla verbosità del predecessore e dalla tendenza a produrre romanzi fluviali che sembrano voler abbracciare l’intera esperienza umana. Contrariamente a Wolfe, le ruminazioni sullo stato tendenzialmente miserando della società odierna si concretizzano in Offutt in una scrittura tersa ed essenziale, priva di patetismi e di aperte introspezioni psicologiche.
Mostrare più che descrivere
Lo scrittore del Kentucky si limita di solito a mostrare piuttosto che a dilungarsi in riflessioni esistenzialiste, con un’efficacia rara che raggiunge la sua acme soprattutto nella produzione di racconti brevi, senza dubbio la forma che gli è più congeniale. Già in A casa e ritorno (2019) l’autore aveva dato voce a un campionario di personaggi esuli dal mondo senza tempo delle colline e ai loro tentativi – spesso frustrati – di trovare una strada al di fuori delle regole ancestrali e violente della società appalachiana: una comunità spietata, eppure paradossalmente in grado di fornire un senso di appartenenza impossibile da ritrovare, o ricreare, altrove.
Tuttavia Offutt è estraneo a una rappresentazione interamente trasfigurata dai toni della pastorale. In romanzi come Country Dark (2018) e Le colline della morte (2021) si sofferma senza romanticismo, sebbene con palpabile compassione, sulle complessità legate alla legge atavica del sangue alla quale deve piegarsi anche l’ordine costituito, insistendo sullo sfacelo legato alla povertà e all’alcolismo, e sugli effetti devastanti della diffusione delle droghe, una piaga che tutt’ora colpisce le montagne del Sud con particolare violenza.
Tutti questi motivi si ritrovano intatti nella sua raccolta di racconti più recente, Di seconda mano (Minimum Fax, pp. 187, euro 16,00), tradotta ancora una volta da un impeccabile Roberto Serrai, divenuto ormai la voce ufficiale di Offutt in Italia. Il volume raccoglie una dozzina di storie, precedentemente pubblicate in parte o interamente su varie riviste statunitensi, proposte nel loro insieme in anteprima al pubblico del nostro paese. Come suggerisce il titolo, questa volta l’attenzione si concentra su una serie di narrazioni tutte iscritte nel segno dell’usura, brevi fotografie di parabole esistenziali marcate da innumerevoli difficoltà, tormentate da desideri e rimorsi logoranti. Le vignette dell’autore sono popolate da personaggi che affrontano l’ennesimo giorno in cui dovranno faticare non tanto per realizzare le proprie ambizioni, come annunciano le promesse ormai vuote della retorica nazionale, quanto per racimolare il minimo indispensabile così da poter mandare avanti un ciclo esasperante finalizzato alla mera sopravvivenza.
C’è un baratro di dolore e solitudine dietro i gesti semplici di questi attanti male in arnese, una stanchezza palpabile ulteriormente sottolineata dallo stile impassibile dell’autore, il quale nasconde però a malapena la sua partecipazione emotiva alla commedia umana che porta in scena. Di seconda mano non è infatti solo una fedele ma distaccata descrizione dei piccoli drammi che costellano la mappa degli odierni Stati Uniti. Da discepolo della grande tradizione di umoristi degli stati del Sud, che vede nel memorabile Sut Lovingood di George Washington Harris il prototipo letterario del montanaro tanto disgraziato quanto geniale, Offutt infonde in ciascuno dei suoi racconti un’ironia spesso amara ma sempre illuminante. I suoi protagonisti, abbozzati in un’economia di gesti e parole, posseggono una forza icastica e un’umanità capace di cogliere con finezza il lato di volta in volta tragico, grottesco o apertamente comico delle vicissitudini in cui si trovano impelagati.
Traiettorie incompiute
Tra coppie in crisi che cercano di ravvivare il proprio rapporto con esiti surreali, incontri più che sfortunati con la polizia, locali notturni popolati da motociclisti su di giri e impresari di pompe funebri filosofeggianti, Offutt mette a fuoco le strade polverose e le case modeste della provincia americana per svelare le piccole afflizioni da niente che vi si svolgono, rinunciando a qualsivoglia velleità moralizzante nel rendere a ciascuna di queste storie la sua dignità. Non ci sono quasi mai traiettorie compiute nei racconti dello scrittore, solo scorci di vite talvolta investite da un’epifania inaspettata, ma più spesso sempre uguali a sé stesse nonostante gli accidenti. Sullo sfondo, le colline da cui molti di questi personaggi provengono e dove un giorno temono – o sperano – di tornare. Come l’anziana protagonista di «L’ultima stanza», un racconto perfetto in cui l’ennesima esule del Kentucky rurale fuggita all’Ovest in cerca di fortuna decide di far visita ai boschi natii per lasciarsi morire.
Offutt dimostra ancora una volta come l’America profonda cui è legato a doppio filo sia una fonte pressoché inesauribile di storie che chiedono di essere raccontate senza pretenziosità alcuna, nel modo onesto e diretto tipico delle lunghe chiacchierate serali sotto i portici delle case di campagna fra le quali l’autore è cresciuto. Da buon uomo del meridione, terra di musicisti e cantastorie, la sua necessità di narrare nasce dall’impellenza di fornire un contributo al racconto collettivo che sarebbe altrimenti soffocato dalle voci, ben più rumorose, dell’America urbana e cosmopolita dalla quale cerca di tenersi lontano. L’esercizio non può che dirsi riuscito: Di seconda mano è forse l’opera migliore dello scrittore dai tempi di Nelle terre di nessuno. Un libro denso di momenti memorabili che cementano la statura di Chris Offutt, confermandolo come una delle voci più interessanti e articolate della nuova letteratura del Sud
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