Dopo essersi allontanato dagli Appalachi per raccontare la vita turbolenta di Virgil Caudill, che in Il fratello buono era costretto a vendicare l’assassinio del fratello e a fuggire dall’altra parte del continente per evitare di essere accoppato a sua volta, Chris Offutt torna nel Kentucky natio con il suo ultimo romanzo, Le colline della morte (traduzione di Roberto Serrai, minimum fax, pp. 219, € 16,00). Le dinamiche ancestrali che ancora caratterizzano la vita degli abitanti di questa regione selvaggia sono da sempre al centro della poetica di Offutt, che si è dedicato negli anni a un’amorevole, seppur impietosa, ricostruzione letteraria di quelli che sono i suoi luoghi dell’anima.

A partire da Nelle terre di nessuno (2017), straordinaria raccolta di racconti nei quali le vite ruvide degli abitanti delle colline vengono descritte con durezza ma con una distinguibile vena ironica, lo scrittore ha sviluppato il proprio mondo narrativo volgendosi all’esempio fondante della Yoknapatawpha di William Faulkner: una regione immaginaria, ma pressoché indistinguibile dai luoghi che l’hanno ispirata, popolata da uomini che, nella rustica e non di rado brutale quotidianità delle loro esistenze, acquistano i caratteri di personaggi mitologici in lotta con la natura e con i loro simili per affermarsi a fronte di un destino tendenzialmente avverso, e anzi spesso apertamente tragico.

Le colline della morte prosegue l’epica del Kentucky di Offutt raccontando le storie di Mick Hardin, reduce delle guerre in Afghanistan e Iraq, e di sua sorella Linda, sceriffo della contea alle prese con uno spinoso caso di omicidio.
Sulla linea inaugurata dal Fratello buono, in cui il realismo sociale degli esordi era al servizio di una trama dai risvolti thriller raccontata con il passo del cinema d’azione, l’ultima fatica dello scrittore è un noir dalle atmosfere che ricordano un classico contemporaneo del genere come Fargo (1996) dei Fratelli Coen, in cui commedia e dramma si mescolano in maniera efficace, sostenendo gli sviluppi della vicenda senza mai perdere l’attenzione per il regionalismo che da sempre caratterizza l’opera di Offutt.

Ancora una volta, la spietata legge del sangue in vigore tra i monti è al centro, mentre lo scrittore americano si dedica all’ennesima, accurata dissezione della violenza intrinseca alla società appalachiana, giustapponendola a altre violenze quotidiane: quella del potere, bianco e maschilista, espresso dalla politica locale, quella del fantasma della guerra, già presente in Country Dark (2018), e quella della cosiddetta opioid epidemic, l’esplosione nell’abuso di oppiacei che, a partire dalla fine del secolo scorso, affligge gli Stati Uniti concentrandosi in special modo in zone depresse come gli Appalachi.

I lettori fedeli di Offutt ritroveranno nelle Colline della morte le atmosfere classiche dello scrittore, ma anche alcuni dei vecchi personaggi che hanno popolato la sua epica: compare Virgil nella «casa infestata» della famiglia Caudill, e un ruolo di rilievo è riservato a Tucker, protagonista di Country Dark che, come Hardin, è un reduce di guerra alle prese con gli spettri del passato e con quelli di un presente non meno spietato del campo di battaglia. Proprio in questo espandere la propria mitologia personale, Offutt dimostra ancora una volta l’influenza decisiva dell’esempio di Faulkner e di tutti quegli scrittori e quelle scrittrici statunitensi contemporanee che, come Daniel Woodrell e Jesmyn Ward, scelgono di focalizzarsi su un «francobollo di terra natia» per aggiungere dei tasselli mancanti alla descrizione dell’America moderna più negletta e autentica.

Allo stesso modo, con quest’ultimo romanzo Chris Offutt dimostra come sia ancora possibile interrogare i paesaggi remoti della provincia per trarne storie inscindibili dalle realtà che descrivono ma capaci di raggiungere un respiro universale grazie alla pulsione epica che le anima.