Chitarra e voce, la rivolta queer di Francesca
Note sparse Tra folk e doom il bel disco di R.Y.F. ci aiuta a ritrovare noi stessi, ad accettare chi siamo, a fregarcene delle etichette con cui altri vogliono ingabbiarci
Note sparse Tra folk e doom il bel disco di R.Y.F. ci aiuta a ritrovare noi stessi, ad accettare chi siamo, a fregarcene delle etichette con cui altri vogliono ingabbiarci
Si presenta come un disco essenziale al massimo, Shameful Tomboy di Francesca Morello, in arte R.Y.F., cantautrice veneta di base a Ravenna. Un paio di chitarre, una Gretsch dal suono pieno e una vecchia acustica. Un cantato sofferto, profondo, che infonde dolcezza. Una luce in mezzo a un mare di contrasti, che nell’album prendono le sembianze della commovente Always late oppure della rabbiosa 1st Times. Un disco che, nei suoi arrangiamenti minimali ma efficacissimi, rivela verità e autenticità, mille volte più delle molte produzioni patinate che ingorgano immeritatamente classifiche e festival della canzone. Sono vere le cicatrici che Francesca si porta addosso. Il «maschiaccio» del titolo è proprio lei, c’è chi ha voluto farla vergognare, ma «then I realize I was really really gay, ’cause I can love the world whatever sex it may be». Per fortuna, infatti, «essere queer significa rompere i paletti che qualcuno ha deciso di imporre agli altri». Questo lavoro, tra folk e doom, ispirato da Pj Harvey e Chelsea Wolfe, ci aiuta a ritrovare noi stessi, ad accettare chi siamo, a fregarcene delle etichette con cui altri vogliono ingabbiarci. La colonna sonora perfetta per la rivolta queer che viene
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