«Chirurgia e identità» secondo Ethan Coen
Festa del cinema di Roma Incontro con il regista americano che parla del suo lavoro insieme al fratello Joel: « Non conta quanto sia orribile ciò che accade nei film: in realtà può sempre far ridere»
Festa del cinema di Roma Incontro con il regista americano che parla del suo lavoro insieme al fratello Joel: « Non conta quanto sia orribile ciò che accade nei film: in realtà può sempre far ridere»
Invitato alla Festa del cinema di Roma per parlare di scrittura per il cinema, Ethan Coen ha accettato – spiega Antonio Monda – a un patto: poter parlare d’altro. E al pubblico dell’Auditorium si presenta così con una selezione di sequenze provenienti non dai film realizzati con il fratello Joel ma da altri: da Steve lo sfregiato (1948) di Steve Sekely a Operazione diabolica (1966) di John Frankenheimer. Nello specifico sono scene di chirurgia: «Le trovo un meraviglioso espediente narrativo – spiega Coen – specialmente negli anni 50 e 60 quando erano il motore di trame assurde, in cui si cambiava identità» e ci si risvegliava dall’anestesia con il volto di Rock Hudson o Humphrey Bogart. Ma è evidente che la chirurgia è un espediente anche per lui, un modo per non dover discutere del suo cinema: sempre restii a parlare in pubblico, i fratelli Coen sono infatti noti per le loro mezze risposte, spesso ironiche, a ogni genere di domanda. Alla Festa di Roma da solo – come il fratello Joel (che però era accompagnato dalla moglie Frances McDormand) nel 2015 – Ethan è da sempre accreditato come lo sceneggiatore del duo, anche se in realtà lavora con Joel a ogni fase del film, dalla scrittura al montaggio, sin dal debutto dei Coen 35 anni fa con Blood Simple (1984), l’unico film il cui director’s cut è più breve della versione uscita nelle sale: «Riguardandolo con Joel abbiamo pensato che gli servisse una sforbiciata», spiega laconico.
AI NOIR anni 50 e 60 da cui sono tratte alcune delle sequenze da lui selezionate rende invece omaggio il film firmato dai Coen nel 2001, L’uomo che non c’era: «La storia di un uomo (il barbiere Ed Crane interpretato da Billy Bob Thornton, ndr) che si sente completamente fuori luogo nel mondo che lo circonda», dice Coen. «Lo abbiamo girato in bianco e nero perché consente di far sentire altrove chi guarda: ti trasporta all’improvviso in un altro mondo». Come sempre accade nei loro lavori, L’uomo che non c’era è una tragedia e al contempo una commedia: «Noi non pensiamo mai in questi termini, una situazione può prendere una direzione o l’altra a seconda di dove ti porta la scrittura. E non conta quanto sia orribile ciò che accade: può sempre far ridere».
AL PUBBLICO Ethan Coen mostra anche una sequenza dell’horror The Audition (1999) di Takashi Miike, in cui una ragazza tortura un uomo di mezza età: «Un vedovo che organizza finti provini di film inesistenti per poter trovare una nuova moglie: questa è una scena molto metoo», scherza. Interpellato su Hollywood, dice che per lui «non è una parolaccia», ma che «è un peccato che i film di supereroi Marvel (paragonati pochi giorni fa da Scorsese a un luna park, ndr) siano apparentemente l’unica cosa che Hollywood produce in questo momento».
IL VELO di distacco con cui Ethan Coen risponde cade solo brevemente, parlando ancora dell’Uomo che non c’era, il film che cita quando gli viene chiesto qual è quello che ama di più della sua carriera: «Sono stato molto contento di riuscire a girarlo, perché è profondamente legato alla mia infanzia. Ci ha dato l’opportunità di ricreare un mondo che non esiste più».
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