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Chimaera, la musica vibrante e collettiva di Sylvie Courvoisier

Chimaera, la musica vibrante e collettiva di Sylvie CourvoisierChimaera

Dal vivo La formazione da «sogno» al Bimhuis di Amsterdam, stasera a Merano Tra dimensione onirica e tocco afrocubano, con Wadada Leo Smith alla tromba

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 19 luglio 2024

L’inizio è morbido, dondolante, con un riff di contrabbasso e pianoforte che coinvolge in maniera sottile col suo sapore afrocubano e con il vibrafono che crea atmosfera; le due trombe, sia in momenti solistici, sia in altri in cui si intrecciano l’una con l’altra, sono misurate, minimali, ma libere, consistenti e indagatrici; anche la batteria è attentissima; la chitarra e l’elettronica introducono qua e là delle dissonanze, degli spiazzamenti, che però sono sempre molto controllati: il flusso del primo brano, chiuso tornando al riff iniziale, dura mezz’ora d’orologio, che passa senza neanche accorgersene. Con Chimaera, da cui ha preso il titolo uno dei migliori album di jazz del 2023 (Cd doppio pubblicato nell’ottobre scorso dalla elvetica Intakt), l’idea di Sylvie Courvoisier è quella di fermarsi più a lungo di quel che le è consueto su delle idee musicali, in brani piuttosto lunghi, in cui – dice la pianista – c’è uno sviluppo che è come quello di un sogno: il progetto – originato da una commissione dell’edizione 2021 del festival parigino Sons d’hiver – è ispirato a Odilon Redon, pittore francese che si distinse per la sua inclinazione simbolista e il suo interesse per la dimensione appunto del sogno.

Dal vivo il gioco è ancora più appassionante che su disco: il brano iniziale, Le pavot rouge – titolo di un quadro di Redon che ritrae un vaso di fiori – dura una decina di minuti più che nel Cd, dove figura in apertura, ed è notevolissima la capacità di Courvoisier di mantenere vibrante la musica su una distanza così ampia e senza ricorrere a nessun banale espediente; rimarchevole anche il fatto che tutto è estremamente calibrato ma senza nulla di calligrafico né di freddamente preordinato.

ED È PALPABILE proprio una magnifica, elegante dimensione onirica, il che, complice anche il tocco afrocubano, fa pensare a certe sublimi cose di Kip Hanrahan, ed è tutto dire. Naturalmente per operare magie di questo genere occorrono compagini di prim’ordine, e – a proposito di sogno – da sogno è quella che Courvoisier ha portato al Bimhuis, storico club di jazz di Amsterdam, per la prima data della tournée europea di Chimaera: Drew Gress, al contrabbasso, e Kenny Wollesen, al vibrafono e alla batteria, sono per Courvoisier due partner di vecchia data, con cui ha molto lavorato in trio; ottantaduenne, il trombettista afroamericano Wadada Leo Smith era un’icona dell’improvvisazione già negli anni settanta; di una trentina d’anni più giovane, Nate Wooley è uno dei più interessanti trombettisti del jazz contemporaneo; frequentatore di Sakamoto, Jim O’Rourke, Mike Patton, l’austriaco Christian Fennesz, chitarra e computer portatile, è una figura di culto dell’elettronica; Nasheet Waits (figlio di Freddie Waits, con Max Roach nel gruppo di percussioni M’Boom), è un’eccellenza della batteria di oggi; il gruppo ricalcava esattamente la formazione del disco, salvo l’aggiunta di Waits.

ANCHE IL SECONDO brano, La joubarbe aragnaineuse, è durato pressoché esattamente mezz’ora, cioè quasi venti minuti più che su disco; poi un altro di oltre quindici minuti, e un bis, Le sabot de Venus. Parchi e anche per questo intensi gli interventi di Fennesz; preziosi i distillati della sua arte sapientemente offerti da Wadada Leo Smith; squisiti tanti momenti in cui le due trombe si sono intersecate e hanno girato una intorno all’altra, per esempio Wadada intenso, pensoso, lirico, e Wooley rapido, guizzante, free; pianista di livello, Courvoisier si è comportata da vera leader, qua e là dinamica ed energica alla tastiera, persino in qualche punto martellante, ma rinunciando totalmente al protagonismo, tutta al servizio dell’insieme di una musica in cui, con qualche riff e qualche spunto melodico, e qualche rara e breve concitazione, i passaggi rarefatti e le situazioni di sospensione hanno avuto un grande ruolo. Attentissimo il pubblico del Bimhuis, che alla fine ha applaudito calorosamente. Cinquantacinquenne, svizzera di Losanna, Sylvie Courvoisier vive da un quarto di secolo a New York, e si è affermata internazionalmente nell’ambito dell’avanguardia. Questa sera Courvoisier presenterà Chimaera (ma senza Leo Smith) al Merano Jazz Festival. Il 3 agosto sarà poi a Lisbona per Jazz em Agosto, in duo con Cory Smythe, con cui, come nell’album del 2023 per la Pyroclastic, presenterà un’esecuzione della versione per due pianoforti della Sagra della primavera e poi un proprio brano ispirato a Stravinskij.
Tra i più importanti club di jazz, dal 2005 il Bimhuis ha la sua bella sede nel modernissimo complesso del Muziekgebouw, affacciato sull’acqua nell’area dell’ex porto; il Bimhuis ha aperto il primo ottobre 1974: con un nutrito programma di concerti in autunno festeggerà i suoi primi cinquant’anni.

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