Chiara Saraceno: «Meno vincoli e più servizi, la voglia di fare figli torna se cala la paura»
Intervista «Il Family Act? Spero che si faccia qualcosa, invece di continuare ad evocare la famiglia come il toccasana di tutti i mali o cercare di aumentare la fecondità per far risalire la natalità»
Intervista «Il Family Act? Spero che si faccia qualcosa, invece di continuare ad evocare la famiglia come il toccasana di tutti i mali o cercare di aumentare la fecondità per far risalire la natalità»
Professoressa Chiara Saraceno, la denatalità che continua inesorabile da cinque anni ed ha raggiunto nel 2019 un nuovo record, è davvero un grosso problema per l’Italia? Perché?
È un problema il fatto che stiamo diventando una società sempre più vecchia, il che significa minore capacità di innovazione e di adattamento ai cambiamenti del mondo. Ma soprattutto è un problema il fatto che anche chi vuole avere figli non riesce ad averli. E in questo modo si limita la libertà delle persone. Senza parlare del fatto che naturalmente il costo delle pensioni graverà sempre di più su una quota sempre più piccola di popolazione.
Da cosa si evince il desiderio non esaudito di fare figli?
Bisogna distinguere tra natalità e fecondità: la prima è il numero di figli che nasce sul totale della popolazione, la seconda è il numero medio di figli per donna, che oggi è molto basso, l’1,29. Il tasso di natalità dipende in larga misura dalla composizione per età della popolazione e naturalmente è potenzialmente inferiore in una società dove si è rovesciata la piramide per età. Naturalmente non possiamo pensare di tornare ai tassi di natalità degli anni Cinquanta e Sessanta, quando eravamo una popolazione molto giovane. Però, se quei pochi che possono fare figli ne fanno meno di quanti ne desiderino – perché il desiderio di averne almeno due è più o meno costante nel tempo – allora si abbassa ulteriormente il tasso di natalità. E a parte i problemi che ciò comporta, ripeto, c’è una questione di libertà.
In Europa i Paesi con natalità simile o inferiore a quella italiana sono solo la Grecia, Malta, Monaco e le Andorre. Cosa pesa di più, secondo lei, sulla bassa propensione a fare figli: la condizione socio-economica o quella culturale?
Credo che alla base ci sia un complesso di problemi: dal punto di vista culturale abbiamo ancora modelli di genere molto rigidi, per cui sulla donna si riversa tutta la cura della prole, e anche i datori di lavoro guardano alle donne che diventano madri come delle lavative. Però ci sono anche i problemi di organizzazione sociale: la disoccupazione, la precarietà che riguarda soprattutto i giovani, la mancanza di servizi… Non è un caso che oggi, per la prima volta in Italia, la fecondità delle donne tra i 35 e i 39 anni, ossia di coloro che hanno trovato una certa stabilità, sia maggiore di quella tra i 25 e i 29 anni.
Eppure la Turchia è in Europa il Paese con più alta natalità, e in Italia un quinto dei bambini nasce da madre straniera…
Naturalmente stiamo parlando di un Paese, il nostro, mediamente sviluppato, dove i figli non sono considerati un segno di opulenza, né vengono messi al mondo per continuare le proprie tradizioni o mantenere il proprio status sociale. Sono frutto invece del desiderio e della scelta, si fanno sempre più in età adulta proprio perché si aspetta di sentirsi pronti, e per i figli i genitori cercano di costruire opportunità maggiori di quelle che hanno avuto loro. Le donne sono più istruite, si aspettano l’indipendenza economica e di entrare nel mondo del lavoro. Ed è bene che sia così, per la propria sicurezza e per quella dei loro figli.
Al Sud infatti, a causa dell’emigrazione e del conseguente o spopolamento, nascono meno bimbi che al Nord.
E non era così fino agli anni Ottanta. Oggi al Sud si assiste ad un doppio fenomeno: l’impoverimento demografico dovuto alla fuga dei giovani e il minore arrivo di stranieri.
Secondo lei, in questa situazione, basta un Family act?
No, non basta. Ovviamente ci vuole ben altro. Però sarebbe bello che finalmente in questo Paese, invece di continuare ad evocare la famiglia come il toccasana di tutti i mali o cercare di aumentare la fecondità per far risalire la natalità, si cominciasse a fare qualcosa. Bisognerebbe creare condizioni amichevoli per chi, desiderandolo, vuole fare un figlio o un bimbo in più. Ora, non so cosa si intenda inserire in questo «Family act», però credo che la prima cosa da fare sia mettere ordine nel sistema variegato e complicato dei sostegni economici, che si differenziano troppo a seconda di dove si vive, anche a parità salariale, del lavoro svolto o chissà cos’altro. Occorre una razionalizzazione, con un occhio all’equità. Come «Alleanza per l’infanzia» stiamo ragionando su questo tema. Però non basta un voucher per la babysitter, sono importantissimi – ripeto – i servizi. Non tanto per i genitori, ma proprio per i bambini, perché sono uno strumento di pari opportunità, e così devono essere concepiti. Bisognerebbe togliere un po’ di vincoli, non imporre solo obblighi, per dissipare le paure. Solo così può tornare la voglia di fare figli.
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