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Chiara Fumai, sulle tracce di un remix autobiografico

Chiara Fumai, sulle tracce di un remix autobiograficoChiara Fumai, «The Book of Evil Spirits», 2015, Courtesy Archivio Chiara Fumai

Arte contemporanea L’Archivio Chiara Fumai, di recente nascita: l’opera della performer romana che ha prestato corpo e voce a una serie di fantasmi della maledizione freak, della radicalità femminista, di se stessa

Pubblicato 26 giorni faEdizione del 1 settembre 2024

L’opera di Chiara Fumai (Roma 1978 – Bari 2017) si inscrive in quel ventaglio di pratiche artistiche apparentemente effimere che in virtù della loro natura performativa appaiono legate radicalmente alla presenza del corpo dell’artista e alla concertazione di atmosfere irreplicabili. Anche esperienze tanto sfuggenti, tuttavia, disseminano nel loro farsi una moltitudine di tracce che, al mancare dell’artista, spostano il baricentro su un’assenza originaria e irrisolvibile, facendosi espressioni di un magnetismo che le impone allo sguardo di chi le incontra, e che invoglia ad approssimarsene per comprenderle a fondo.

Nata a Roma, Fumai trascorse l’adolescenza in Puglia per poi trasferirsi a Milano in vista dei suoi studi in architettura. Qui diede inizio a un percorso artistico che durò circa dieci anni e che la vide protagonista di importanti manifestazioni su scala internazionale. Della sua produzione non sono finora mancate le occasioni di studio: tra queste l’importante monografia Poems I Will Never Release. Chiara Fumai 2007-2017 (NERO Editions, 2021), curata da Francesco Urbano Ragazzi, Andrea Bellini e Milovan Farronato, e edita in occasione dell’omonima retrospettiva presentata in diverse istituzioni italiane ed europee.

La recente nascita dell’Archivio Chiara Fumai, dedicato allo studio e alla valorizzazione dell’opera dell’artista, e la cui cura scientifica è affidata ad Andrea Bellini e Milovan Farronato, offre l’occasione per riflettere sulla rilevanza e sulla persistenza del contributo di Fumai nel panorama artistico contemporaneo. Si può tentare di farlo a partire da alcune delle opere che fanno parte del lascito della madre dell’artista, e che oggi costituiscono il nucleo fondante dell’Archivio, interpretandole come le pagine disordinate di un diario.

One Strangling Golden Hair (Tribute to Vera Morra) (2013) è una suggestione che si attiva attraverso un’assenza, come una reliquia o un ex voto. Si tratta del calco del corpo dell’artista in colla vinilica, adagiato su un tessuto ricavato dal riassemblaggio dell’abito di Valentino usato nella videoperformance Chiara Fumai legge Valerie Solanas (2012-’13). L’opera, oggi al centro di un’interlocuzione finalizzata alla sua donazione al Museo del Novecento, dove fu originariamente esposta nel 2013, è una mise en abyme, una metafora del processo di transizione che l’artista ha compiuto di soggetto in soggetto, senza mai emigrare dal proprio corpo.

È proprio il corpo, assieme alla voce, a farsi «strumento di una lingua altrui», per dirla con le parole di Bellini, poiché è proprio attraverso l’adozione di una parola, di un testo o di un linguaggio che l’artista ha tentato di sintonizzarsi su frequenze altre, creando delle connessioni con le diverse soggettività al di fuori di sé. Al cuore della sua pratica si trova infatti la lunga serie di incarnazioni con cui essa ha prestato il suo corpo a interlocutrici e alleate, donne provenienti da diverse coordinate storiche e che, a loro modo, hanno attentato all’ordine costituito e normato dallo sguardo maschile, offrendo sé stesse e le proprie vite come agenti di resistenza. Sono le star dei freak show, come la donna barbuta Annie Jones o Zalumma Agra di bellezza circassa, sovversive e terroriste come Valerie Solanas e Ulrike Meinhof, o ancora la dogaressa Elisabetta Querini Valier e la medium Eusapia Palladino.

Le parole che l’artista si è cucita addosso nella sua pratica sono a volte quelle di brani musicali, come nell’opera I’m a Junkie (2007), dove intona in playback la canzone greca Eimai Prezakias («sono un drogato») di Rosa Eskenazi, e che apparirà nuovamente nel video The Book of Evil Spirits (2015), mentre altre volte queste sono tratte da testi filosofici e vengono scelte in quanto espressione di un’affiliazione esistenziale e politica. È il caso degli scritti di Carla Lonzi, il cui Secondo Manifesto Femminista Io dico Io (1977) diviene il fulcro dell’opera Shut Up, Actually Talk (2012-’13).

Sarà proprio il femminismo uno degli agenti detonanti dell’opera di Fumai, che si è distinta per una singolare capacità di congiunzione tra lotta politica e portato esistenziale: nessuna parola, una volta parlata, è rimasta un semplice slogan, ma si è addensata grazie all’interferenza sismica del suo vissuto. E, forse, proprio questa capacità di contaminazione con il proprio immaginario ha determinato la posizione pionieristica della sua ricerca rispetto all’importante ondata di pratiche che, negli ultimi anni, sono fiorite sotto l’influenza del pensiero femminista.

Tra gli aspetti più significativi e personali di questa intersezione vi è indubbiamente l’incontro con la dimensione surreale ed esoterica. Espressione di questa coesistenza è proprio The Book of Evil Spirits, 2015, esposta in Italia in occasione dell’ultima Art Week di Bologna, in una mostra organizzata da Traditum Est presso la Biblioteca Italiana delle Donne, in collaborazione con l’Archivio. L’opera è esemplificativa non solo di questa influenza mistica, ma ancor più dell’attitudine al remix autobiografico che caratterizza la pratica di Fumai. Il video si presenta come un susseguirsi onirico delle incarnazioni dell’artista, in cui si succedono le parole, i suoni e i personaggi che hanno fatto parte della sua ricerca. L’intento non è di mera auto-citazione: queste presenze agiscono autonomamente, si affacciano e scompaiono arbitrariamente, in una logica che punta alla progressiva perdita di controllo e alla rinuncia a ogni presunta linearità, per consentire l’attivazione di un disordine circolare e generativo. Attraverso una serie di salti e inversioni di senso, gli elementi dell’immaginario di Fumai sembrano messi costantemente in gioco, delineando le coordinate di uno spazio irregolare e contraddittorio. Sembra questa la qualità intrinseca di un corpus di opere mai dogmatico il cui racconto rimane aperto, rendendo particolarmente florida l’occasione del suo studio e della sua interpretazione, favoriti, ora, dal neonato Archivio Chiara Fumai.

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