Chi ruba le professioni alle professioni
Sanità Blocco del turn over, demansionamento, straordinari mal pagati. Regioni e governo sottoscriveranno un patto che tace sui 30 miliardi di sprechi. Serve un’obiezione deontologica
Sanità Blocco del turn over, demansionamento, straordinari mal pagati. Regioni e governo sottoscriveranno un patto che tace sui 30 miliardi di sprechi. Serve un’obiezione deontologica
La regione Emilia Romagna ha deliberato l’affidamento dell’assistenza infermieristica domiciliare a “personale laico” (badanti, famigliari, care giver). La regione Lazio da tempo organizza corsi sull’assistenza infermieristica alle badanti. La regione Toscana ha promosso un accordo nazionale con il ministero della salute per affidare agli infermieri l’esecuzione di competenze mediche ed ha riesumato la figura “dell’assistente medico volontario”, cioè un medico che lavora gratis con la speranza poi di avere un posto di lavoro. La regione Veneto ha tentato di ridurre il numero degli infermieri in ospedale riducendo il loro tempo di assistenza .
In tutte le Regioni medici e infermieri fanno i tappa buchi, cioè svolgono ogni tipo di competenze improprie, sono costretti a turni interminabili, accumulano le famose ferie arretrate e ore e ore di straordinario (sottopagato). Vengono fuori proposte di legge Pd per favorire il ricambio generazionale nelle professioni sanitarie nelle quali chi è occupato è visto come chi impedisce a chi è disoccupato di entrare nel mondo del lavoro, ma senza aumentare il numero degli occupati complessivi. Da anni è in atto il blocco del turn over con effetti devastanti sugli organici e sulla qualità dell’assistenza. Prende forma quello che gli inglesi definiscono overcrowding, il lavoro sovraccaricato, con pesanti effetti: dequalificazione, più errori, meno qualità, più mortalità dei malati.
Cosa sta accadendo? Tre sono le politiche sanitarie che colpiscono i malati colpendo le professioni:
- Il passaggio da semplici misure di contenimento e di razionalizzazione della spesa al definanziamento del costo del lavoro in sanità inteso come suo principale capitale;
- Una politica di decapitalizzazione del lavoro attraverso misure di deprofessionalizzazione, demansionamento, sfruttamento;
- La deregolazione delle norme che sino ad ora hanno definito il lavoro professionale.
Queste politiche stanno rubando le professioni alle professioni, il lavoro al lavoro ,i diritti ai diritti, mandando in fumo titoli di studio, anni di formazione, alimentando insanabili conflitti tra professioni . Queste politiche rientrano in quelle più generali definite di “sostenibilità economica” e nel loro insieme offrono una assistenza complessivamente scadente e sempre più privatizzata..
Una devastazione lenta ed inesorabile, silenziosa come l’insorgenza di un cancro che se non fermata per tempo avrà effetti letali sulla sopravvivenza del sistema pubblico. L’attacco deregolatorio al lavoro della sanità è un attacco subdolo a chi sta male quindi ai più deboli.
A rendere ancor più drammatica la situazione è l’impotenza, la difficoltà, di quella sovrastruttura di rappresentanza delle professioni sanitarie costituita da ordini, collegi . Le due più grandi categorie, infermieri e medici, (i ¾ del personale sanitario), sono quasi paralizzate da forti distorsioni della loro funzione di rappresentanza. Ordini e collegi sono diventati nel tempo luoghi di potere personale salvaguardati da una rete rizomatosa di collateralismi che collega interessi di ogni tipo. Questo vuol dire che davanti allo sfascio del lavoro non c’è resistenza deontologica e questo per almeno tre ragioni.
La prima attiene al conflitto di interesse ai massimi livelli di rappresentanza degli ordini dei medici e dei collegi degli infermieri, cioè presidenti che allo stesso tempo sono senatori del Pd e, incapaci di portare a casa risultati tangibili (si pensi al problema della responsabilità medica) riducono le loro associazioni a pure cinghie di trasmissione delle politiche del governo. In secondo luogo la scarsa “coscienza di classe” (come si sarebbe detto una volta) di queste categorie, rese disincantate dagli opportunismi interni ai loro organismi di rappresentanza, abituate ad arrangiarsi individualmente attraverso clientele di affiliazione ma soprattutto vittime alla fine degli enormi interessi economici che ordini e collegi gestiscono e permettendo di “comprare” consenso a beneficio di chi comanda con incarichi, compensi, e benefit di ogni tipo.
Discorso a parte per i sindacati di categoria, orfani della concertazione quale metodo sindacale. Essi si trovano non solo senza relazioni sindacali dal momento che i contratti sono bloccati, ma improvvisamente privi di quella rete consociativa di cui gli ordini e i collegi fanno parte, che sino ad ora ha messo insieme tutti gli interessi in campo. Cioè sono senza potere negoziale.
In questo desolante quadro non sono per niente casuali le drammatiche contraddizioni in cui sono incastrati proprio gli ordini dei medici e i collegi degli infermieri. I primi hanno recentemente approvato un codice deontologico che non riuscendo a risolvere in avanti il conflitto tra etica professionale e decapitalizzazione del lavoro, ha imboccato la strada dell’adattamento e della rassegnazione privando i medici della possibilità di disporre di una deontologia forte contro la deregolazione della professione. I secondi invece, ebbri di emulazione nei confronti dei medici, hanno assecondato le politiche deregolatorie di certe Regioni accettando di svolgere a costo zero alcune competenze dei medici e nello stesso tempo non hanno mosso un dito verso altre Regioni che stanno rubando il futuro dell’assistenza domiciliare e territoriale, colpevolmente muti sui grandi problemi di deprofessionalizzazione dei loro iscritti e sul loro sfruttamento sistematico.
Se questo è il quadro servirebbe da parte di tutti almeno un’azione collettiva di difesa del valore del proprio lavoro professionale che ricordando Thoreau definirei di “disobbedienza civile”. Cioè servirebbe con urgenza che le professioni, tutte, fissassero almeno le condizioni di soglia oltre le quali deve scattare doverosamente una obiezione deontologica. Ma anche questo, che sul piano della ragionevolezza sembrerebbe il minimo necessario, avrebbe bisogno di un grado di libertà e di autonomia di pensiero che oggi per le cose dette sopra purtroppo non c’è.
In settimana sarà sottoscritto tra regioni e governo un patto sulla sanità dalla cui definizione è stato escluso l’intero mondo del lavoro, a sottolineare ancora una volta il suo essere di fatto sub strumentale alle politiche di sostenibilità, la sua impotenza reattiva e la volontà del governo di servirsene. Questo patto non dirà una parola sui 30 mld l’anno che la corruzione mangia al sistema, e meno che mai si preoccuperà degli effetti immorali della decapitalizzazione e della deregolazione del lavoro. Anche le Regioni avranno dal governo i loro simbolici 80 euro, cioè i loro bilanci avranno qualche spicciolo in più per alimentare l’andazzo senza che si cambi veramente qualcosa.
Dei malati questo patto si interesserà ma per definire nuove tasse sulla malattia che i cittadini sfortunati dovranno pagare, con gli 80 euro appena concessi nelle loro buste paga. Ad un tradimento generazionale di coloro che oggi controllano le professioni in nome e per conto di politiche deboli si aggiunge un tradimento riformista di coloro che avrebbero dovuto trasformare, con la politica, i limiti in possibilità . Oggi si stanno consegnando alle future generazioni di operatori professioni meno libere di essere professioni e ai malati meno diritti. In queste condizioni è difficile disobbedire e obiettare ma mai come in questo momento abbiamo bisogno di farlo. Se i diritti e il lavoro sono le due facce del bene comune, l’obiezione deontologica contro ciò che le mette in pericolo , oggi è un dovere .
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