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Chi lascia i 5 Stelle non lo fa per il Pd

Chi lascia i 5 Stelle non lo fa per il Pd

Analisi Il verdetto dei voti assoluti: grillini dimezzati rispetto alle politiche del 2018 ma Zingaretti non recupera i delusi

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 28 maggio 2019

Sono i voti assoluti a far sbiadire la «vittoria» di Nicola Zingaretti. Come si vede nella tabella che pubblichiamo in altro, riferita agli elettori residenti in Italia, tra il 4 marzo 2018 e il 26 maggio 2019 il Pd non ha guadagnato un voto ma ne ha persi circa 100mila. «Confronto impossibile», avverte immediatamente lo staff del segretario Pd: l’affluenza alle politiche è stata molto più alta, circa sei milioni di elettori in più (anche questo dato lo trovate in tabella). È giusto, si tratta anche di due tornate elettorali non omogenee, il comportamento degli elettori è diverso se si vota per l’aula di Strasburgo o per quella di Montecitorio. D’altra parte, il confronto con le precedenti elezioni omogenee (anche in termini di partecipazione al voto), le europee del 2014, sarebbe impietoso per Zingaretti perché quello fu l’anno del famoso 40% di Renzi. Ma era un’altra epoca politica. Il confronto con il 2018 invece ha senso se si vuole cercare di capire la portata del crollo dei 5 Stelle e se e quanto il «nuovo» Pd di Zingaretti sia riuscito a intercettare la diaspora degli elettori grillini. Anche in questo caso, non ci sono buone notizie per i democratici.

È utile concentrare l’analisi sulle regioni meridionali e insulari perché sono quelle dove i 5 Stelle avevano costruito il loro trionfo alle politiche e dove di conseguenza sono finiti nel baratro domenica scorsa. A punirli è stata in maniera prevalente l’astensione. Non l’attrazione del Pd. Stando all’analisi dei flussi che i ricercatori fanno ricorrendo a sondaggi a campione, neanche l’attrazione della Lega spiega tutto. Semplicemente gli elettori delusi dai grillini sono in maggioranza rimasti a casa. In Puglia, Abruzzo e Calabria, i voti assoluti perduti dai 5 Stelle in un anno e due mesi coincidono quasi esattamente con la crescita dell’astensione (nel dettaglio, in Puglia 568mila nuovi astenuti e -562mila voti per i 5 Stelle, in Abruzzo 179mila astenuti in più e 172mila voti ai 5 Stelle in meno, in Calabria 201mila elettori in meno e 211mila voti in meno ai 5 Stelle).

Calabria e Sicilia sono le uniche due regioni del meridione-isole dove il calo dei 5 Stelle è superiore al calo dei votanti. La differenza però non può averla fatta il voto al partito democratico perché in quelle regioni anche il Pd ha perso voti (in Calabria) o non ne ha recuperati abbastanza. La Sicilia in particolare è una delle due regioni del sud dove il Pd ha aumentato i voti rispetto all’anno scorso (+71mila). Non a caso è la regione che più aveva creduto ai grillini e poi ha tolto loro in un anno 575mila voti, circa la metà del consenso originario. Anche in Campania la debacle M5S ha avuto queste proporzioni: -747mila voti (rispetto a un calo dei votanti di 813mila). E infatti anche qui il Pd è riuscito a mettere il segno più davanti alla variazione, aumentando di 20mila voti.

Impietoso è però il confronto con la Lega, in Campania aumentata di 290mila voti e in Sicilia di 331mila. In Abruzzo il partito di Salvini è quasi raddoppiato in quattordici mesi e mezzo, adesso più di un elettore su tre in quella regione vota Lega e più di uno su sei è un nuovo elettore della Lega. Anche in Puglia ogni sei elettori ce n’è uno che da queste europee, per la prima volta, ha scelto Salvini.
Resta il fatto che. anche dopo la sconfitta, il M5S è un partito fortemente ancorato al mezzogiorno. Di fronte alla crescita uniforme sul territorio nazionale della Lega, che ormai trova una resistenza solo nelle grandi città e in particolare nei centri storici, questo può però rivelarsi un altro punto di debolezza del partito di Casaleggio.

Secondo l’analisi dei flussi che l’istituto Cattaneo ha fatto prendendo come riferimento cinque città, su cento elettori che un anno fa hanno votato i 5 Stelle, oltre 50 hanno preferito astenersi. Tranne a Firenze e a Torino, dove gli astenuti scendono a 20 o 30. In quelle città infatti si votava anche per le comunali o per le regionali, un incentivo a recarsi alle urne. Sempre secondo le stime del Cattaneo, a Firenze gli ex grillini hanno scelto in parte anche il Pd del sindaco Nardella (20 su 100) mentre a Torino quasi solo la Lega (segnale in chiave Tav). Secondo l’istituto Swg, gli elettori dei 5 Stelle nel 2018 si sono divisi in due grosse fette di circa il 40%, una ha confermato la scelta, l’altra si è astenuta. Il resto per il 15% ha votato Lega e per il 5% Pd.

Quanto al calcolo dei seggi spettanti all’assemblea di Strasburgo, i 5 Stelle ne hanno conquistati nazionalmente 14, dunque ne hanno dunque dovuti cedere due nelle circoscrizioni in cui sono risultati «eccedentari», al nord ovest e al centro. Seggi andati a Forza Italia e Fratelli d’Italia. Questi due ultimi partiti sono quelli che, assieme alla Lega, dovrebbero ritrovarsi con tre eurodeputati «in panchina», destinati cioè a insediarsi solo quando la Brexit sarà conclusa. Allora i rappresentanti dell’Italia da 73 diventeranno 76.

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