Visioni

Chi ha paura di Netflix? Pensieri su un futuro in divenire

Chi ha paura di Netflix? Pensieri su un futuro in divenire

Venezia 75 Il Leone d’oro a «Roma» accende la protesta, ma oltre gli schieramenti la risposta deve essere politica. Servono regole, ma la convivenza tra diverse visioni è già una realtà

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 11 settembre 2018

L’indomani del Leone d’oro a Roma è il tempo delle polemiche, non sul film, che mai è accaduto ci fossero consensi così unanimi da critici e pubblico sin dalla prima proiezione, ma sulla sua provenienza: Roma è infatti targato Netflix e che il massimo riconoscimento della Mostra d’arte cinematografica vada a un prodotto destinato allo streaming prima che alla sala appare a molti intollerabile. Nel comunicato di ieri Anac (Associazione nazionale autori cinematografici), Fice (Federazione italiana cinema d’essai), Acec (Associazione cattolica esercenti cinema) chiedevano tra l’altro alla Mostra «finanziata con risorse pubbliche» di rivedere le proprie posizioni in futuro (in pratica di non selezionare più film Netflix).

Sul fronte opposto gli entusiasti salutano invece il premio come una svolta epocale, convinti che opporre la nostalgia della sala significa non accettare le trasformazioni dei tempi con cui anche la visione cinematografica – o meglio il consumo di immaginario – deve misurarsi. Non la pensa così Lionello Cerri, fondatore del cinema Anteo di Milano ed ex presidente dell’Anec (Associazione Nazionale esercenti cinematografici), per il quale la fruizione in sala è connaturata all’essenza stessa dal film: «È un’opera d’arte che funziona in quanto tale perché ha un pubblico, degli spettatori. Ed è la sala a determinare questa magia creando socialità tra le persone che vogliono vedere un film, commentarlo, apprezzarlo o magari criticarlo.

La fruizione solo su internet o in tv è parziale: vedere un film da soli o con altre persone sono due cose diverse». Una posizione in linea con l’ulteriore comunicato diramato ieri dalle associazioni di settore, alle quali stavolta si è aggiunta l’Anec: «Le Associazioni che rappresentano la quasi totalità delle sale cinematografiche italiane restano fermamente convinte, come lo sono le Imprese e Associazioni del settore di tutti i principali mercati mondiali, che la visione di un film concepito per il grande pubblico debba avvenire prioritariamente su grande schermo, in una sala cinematografica».

Le cose come sempre sono molto più complesse e visto che non siamo alla stadio schierarsi a favore o contro serve a poco. A essere messa sotto accusa è la simultaneità tra la programmazione in sala e quella in streaming che secondo gli esercenti finirà molto presto per causare la fine della sala stessa con effetti negativi su tutta la produzione cinematografica nazionale e europea. «Negare il ruolo economico e sociale della sala cinematografica, imponendo unilateralmente le condizioni per le uscite contestuali sala-streaming per un film prodotto per il cinema (è il caso di Sulla mia pelle, il film sul caso Cucchi che ha debuttato a Venezia e ha beneficiato del sostegno statale per la produzione, e solo successivamente inserito nel bouquet di offerta di Netflix), vuol dire accettare che i festival e le sale diventino solo un passaggio tecnico finalizzato esclusivamente alla promozione delle offerte in streaming» si legge ancora nel comunicato congiunto delle associazioni.

È la stessa ragione che ha spinto il Festival di Cannes e la sua direzione (Thierry Frémaux e Pierre Lescure) a rifiutare Roma nel suo concorso ma in Francia a differenza che in Italia la «finestra» tra sala e passaggio televisivo è molto ampia (36 mesi) il che rendeva la strategia distributiva di Netflix assolutamente incompatibile col sistema francese che peraltro sui biglietti fonda grossa parte del finanziamento alla produzione – Roma verrà però presentato in Francia in qualche sala, è prevista una proiezione al Festival Lumière di Lyon programmato proprio da Frémaux.

Il caso di Sulla mia pelle è diverso poi da quello di Roma, o di un altro film targato Netflix presentato in concorso a Venezia, The Ballad of Buster Scruggs dei fratelli Coen. «Per Sulla mia pelle c’è un distributore, Lucky Red, uno dei produttori del film – sottolinea Cerri – che poi l’hanno venduto a Netflix. È un film realizzato seguendo le leggi del cinema in Italia e dunque anche con sovvenzioni e finanziamenti concessi in base a una logica che è quella stabilita dalla nuova legge sull’audiovisivo, per la quale lo Stato finanzia i film che escono in sala».

Il vero «mistero» dunque è quello che avvolge proprio film «integralmente Netflix» come Roma: cosa sceglieranno di farne gli esercenti? «È in corso un dibattito molto serrato – dice Cerri – si stanno cercando le forme e i modi. A livello dell’Anteo che io rappresento è chiaro che vorremmo mostrare un cinema d’autore come quello di Cuaron, dei Coen o il film di Scorsese di prossima uscita. Però dobbiamo stare attenti alle logiche del mercato – inteso non dal punto di vista del business ma delle regole».
Da parte sua la Mostra – attraverso il direttore Alberto Barbera e il presidente Paolo Baratta – difende le proprie scelte. E giustamente perché non sta a loro decidere «a priori» una risposta che deve essere soprattutto politica – anche per quanto riguarda eventuali obblighi di investimento . Netflix è una realtà in Italia e nel mondo e a questo punto, specie se è vero come è stato detto che la piattaforma vuole aprire delle sale, è necessario lavorare per regolamentare i rapporti tra i diversi settori di mercato al di là di contrapposizioni che appaiono soltanto inutili.

Non solo. Dato per scontato il piacere di vedere i film tutti insieme – la Mostra quest’anno ha incrementato biglietti e pubblico del 18% – e l’importanza della sala va detto anche che nelle posizioni degli esercenti italiani c’è una certa ipocrisia. Distribuzione e esercizio da noi hanno grossi buchi, basti pensare che il Leone d’oro The Woman Who Left in sala non è mai arrivato – e la stampa attaccò quel verdetto perché il film era «indistribuibile» – così come non ci arriva quasi l’intera la selezione veneziana di Orizzonti. Colpa della Mostra? Ovviamente no. I piccoli film, quelli più indipendenti, italiani o internazionali fanno una fatica enorme, e in tante città italiane persino i grossi titoli non arrivano. Davvero la doppia offerta distruggerà la sala? O l’erosione è già iniziata per altre ragioni molto tempo fa?

Roma se uscirà in sala avrà il suo pubblico e la programmazione su Netflix non toglierà spettatori, sono due canali diversi permettendo però a chi vive in luoghi «remoti» di vederlo lo stesso senza prendere treni o pullman – e in più in lingua originale altro tasto dolentissimo nella distribuzione/esercizio italiano. La convivenza già sperimentata in altri paesi, è possibile, ma questo, appunto, non significa che non vada regolamentata.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento