Chi ha paura di Louis Skorecki?
Probabilmente è la fama di personaggio imprevedibile e umorale che ha contribuito negli ultimi decenni a rendere Louis Skorecki irraggiungibile, assente dalla scena mediatica e dalla rete (nessun blog), dopo che nei decenni a cavallo tra i due millenni era stato un critico e un personaggio di culto: più d’uno di quelli che si precipitavano ad acquistare tutti i giorni in edicola Libération lo facevano per leggere Skorecki, critico di cinema ma anche di televisione, sconfinante spesso in articoli sulla musica. Sul quoridiano apparivano anche gli scritti di Serge Daney, che di Skorecki è l’amico di una vita, sin dagli anni del liceo: ma se a lungo Daney appariva il fratello maggiore (che per esempio fa entrare Skorecki nei Cahiers du cinéma), nella fase Libération è Skorecki a diventare la firma di culto, e gli articoli di Daney la completavano su quel terreno teorico e morale a cui Skorecki sovrappone il rapporto con l’istante, con la passione particolare, che rende ogni suo scritto un’avventura sfuggente al controllo del suo stesso autore.
È nota la divertente frase di François Truffaut: «nessuno dice: da grande voglio fare il critico cinematografico». Orbene, Skorecki non ha mai deciso cosa farà da grande, fino ad oggi che è ultraottantenne. Ci dice anzi oggi di non sapersi spiegare come sia nata la cinefilia, e come poi gli sia nata la voglia di diventare regista oltre che critico. Ma a momenti si considerava soprattutto scrittore, anche di un romanzo. E le sue più recenti (ma ormai di molti anni fa) dichiarazioni in rete segnalano che vuole diventare produttore.
L’unica cosa certa è che in tutta la sua vita è stato un geniale spettatore (oltre che ascoltatore di musica).
Orbene, la Francia che lo leggeva avidamente tutti i giorni sembra oggi poter fare a meno di Louis Skorecki.
È toccato all’Italia oggi riscoprirlo. Con due manovre nate all’insaputa l’una dall’altra, ma convergenti, Adriano Aprà gli ha proposto di tradurre in Italiano per la rivista Cabiria il suo scritto Contro la nuova cinefilia, apparso sui Cahiers du cinéma dopo duri scontri redazionali, al punto che lo si pubblicò seguito da un Contro Contro la nuova cinefilia.
Skorecki ha accolto con slancio la richiesta di Aprà, che sta ora traducendo il testo, che uscirà poco dopo la traduzione di un altro testo di matrice «macmahoniana», apparso oltre un decennio prima sui Cahiers, Su un’arte ignorata di Michel Mourlet.
E insieme al contatto di Aprà è arrivato quello dei «Mille occhi» di Trieste, determinati a dare il Premio Anno uno a un critico e regista da tempo relegato nel fuori campo. Ma per «I mille occhi» il fuori campo è, come da lezione di Griffith e Matarazzo, una presenza più forte di quella che è in campo. Ed ecco che Skorecki ha accolto con entusiasmo la proposta di premiarlo nell’edizione di quest’anno (25-30 settembre) con la proiezione del suo trittico Les cinéphiles, una carta bianca omaggiante il regista del cuore Jacques Tourneur e due altri irregolari (Luc Moullet e Jean-Claude Brisseau), che per l’occasione Fuori orario allargherà a due altri registi amati (Walsh e McCarey). Si è inoltre realizzato e verrà proiettato in anteprima al festival un videoincontro con Slorecki, che prelude alla sua presenza dal vivo il prossimo anno, quando saranno proiettati i suoi altri film.
Perché Jean-Louis Noames, poi «ribattezzatosi» Louis Skorecki, è il critico che più sistematicamenrte aveva realizzato per Présence du cinéma e Cahiers du cinéma le conversazioni coi grandi registi allora viventi. Ed è dunque per noi oggi, oltre che grande scrittore di cinema, colui che ha incontrato Walsh, Dwan, Ford, Lang, Preminger, Sirk, Tourneur, McCarey, fino a Stavros Tornes, che egli considera «l’unico dei grandi registi con Tourneur di cui avrei voluto essere amico».
Per Skorecki infatti tra il cinema e la vita non vi possono essere barriere, cosa che la televisione realizza in modo «ontologico» (come direbbero Bazin e Rohmer). E «I mille occhi» hanno sempre voluto abbracciare questo incontro con gli esseri (per usare un termine caro a Dreyer) attraverso il cinema, anche in quella linea di programmazione chiamata «politica dei critici», ospitante altri irregolari dei Cahiers (Jean-André Fieschi, Michel Delahaye., cui non si potevano più aggiungere Jean Domarchi e Fereydoun Hoveyda) con paralleli omaggi agli italiani Turroni, Ranieri, Mancini, Farassino…
Louis Skorecki ci appare oggi colui che meglio demolisce, oltre a una nuova cinefilia che non si rapporta più con la forza profonda del cinema rendendolo invece gioco di società, anche colui che meglio può demolire una riduzione dell’attività di critica cinematografica a ben programmato curriculum professionale. Egli c’insegna che si è critici non solo perché si scrive di cinema, e non si è registi solo in quanto si realizzano film, che soprattutto tutto ciò fa parte di quello che Roberto Rossellini (cui non a caso si riferisce il Premio Anno uno) chiamava «la professione più difficile da imparare, il mestiere di uomo».
Ecco perché per Skorecki è importante sottolineare di quali registi avrebbe voluto essere amico, ed ecco il carattere non solo privato della sua personale amicizia con Daney, fino all’ultimo intrecciata di scontri (ci racconta infatti oggi con grande sincerità dei suoi ultimi incontri con un Daney destinato alla morte, incontri più che mai duri, da monadi assolute pur nell’affetto). Soprattutto «I mille occhi» hanno voluto capire qualcosa di una vicenda umana che è parte essenziale di quel momento del cinema in cui avviene una reale consapevolezza di «che cos’è il cinema», scoprendo che è il cinema che ci guarda prima di poterci noi sentire in diritto di giudicarlo. Era l’epoca on cui sembrava, dice Skorecki, che solo Fellini e Bergman fossero autori importanti, e persino di Hitchcock, che oggi appare un’indiscutibile passione della nuova cinefilia, si cominciasse a stento a capire qualcosa (grazie a Rohmer, Chabrol, Rivette, Truffaut, Douchet).
Dunque è ancora Rossellini a insegnarci che possiamo solo sapere di non sapere nulla. E meno di tutto ne sappiamo della storia del cinema. Incontrando Skorecki, quest’anno e il prossimo, impareremo certo qualcosa.
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