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Chez Boris Vian, il patafisico

Chez Boris Vian, il patafisicoBoris Vian e Juliette Gréco

Incontri Un giro per la casa dello scrittore-trombettista con la custode della sua opera eccentrica, Nicole Bertolt, che visse con lui e la moglie Ursula

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 26 aprile 2014

A fianco del Moulin Rouge, a Pigalle, c’è un vicolo stretto e cieco che prende il nome di Cité Véron. Qui al 6 bis abitò Boris Vian, dal 1953 al 1959, anno della sua morte. Dal 1954 suo vicino di casa divenne Jacques Prévert, e per 5 anni i due condivisero il terrazzo con vista sulla cima del Moulin Rouge. L’appartamento di Boris Vian non ha mai cessato di essere abitato, ma chi ha continuato ad occuparlo, in primis la sua seconda moglie Ursula Vian Kübler, si è limitato ad aggiungere discretamente le sue cose. Nel 1963 Ursula ha dato vita all’associazione «Les amis de Boris Vian», nel 1981 alla «Fondation Boris Vian», con monsieur d’Déé. Alla morte di Ursula, il 18 gennaio 2010, il compito di gestire l’eredità (la Cohérie) di Boris Vian è passato interamente sulle spalle di Nicole Bertolt, che in quella casa continua a vivere, dopo i circa 30 anni passati accanto ad Ursula.

Siete la responsabile della Cohérie Boris Vian…

Non esattamente, direi piuttosto la rappresentante. Secondo le leggi francesi, quando un autore non c’è più è necessario che sia rappresentato da qualcuno. Boris Vian non aveva lasciato disposizioni. Sapeva da tempo che sarebbe morto presto e, una volta sposato, in regime di separazione dei beni, sapeva che in caso di morte, sua moglie sarebbe diventata responsabile della sua opera.

Michelle Léglise?

No, Ursula. Michelle era ancora viva alla morte di Vian, era giovane, la stessa età di Boris, 39 anni, ma avevano divorziato nel 1951 e ora viveva e lavorava con Jean Paul Sartre. Michelle non aveva più alcun rapporto con lui, soprattutto non credeva nella sua opera, non le interessava proprio. Ursula aveva 30 anni, e c’erano due bambini – Patrick e Carole – dal matrimonio con Michelle. Boris e Ursula non hanno avuto figli. Ursula l’avrebbe anche voluti, ma non Boris, perché sapeva di essere troppo malato, e poi perché, in fondo, non amava granché i bambini. E inoltre aveva un sacco di cose da fare. Aveva problemi con i suoi figli e con i bambini in generale, ma ha sempre cercato di essere un buon padre. Quando Boris è morto suo figlio aveva 17 anni e la figlia 11. Subito si è posto il problema a chi affidarli, visto che erano minorenni. Alla fine, si è trovato un accordo che prevedeva che Ursula si occupasse dei due minori e della gestione dell’opera artistica di Vian. Ursula è diventata vedova piuttosto giovane. Aveva quindi l’energia necessaria per occuparsi dei figli di Boris, mentre la madre, Michelle, era tutta presa dai sartiani e da Sartre… non è proprio sparita dalla circolazione, ma non si è interessata all’avvenire dei figli. Nel 1998 Carol è morta, ancora giovane ma molto malata. Io avevo 23 anni quando sono entrata nell’universo di Ursula, alla fine degli anni ’70, ho conosciuto Carol a sufficienza e quando si è ammalata sono diventata la sua tutrice legale… questo è importante per capire come mai oggi sono qui, e come l’opera di Vian sia diventata quello che è diventata.

È facile vivere in questa casa?

Per me è stato sempre facile, l’appartamento non è cambiato, ho solo levato la vecchia carta da parati dai muri. All’inizio degli anni ’60 l’appartamento era esattamente come lo vedi ora, Boris aveva appena finito di sistemarlo, tutti i lavori qui dentro li ha fatti lui con le sue mani. Nel corso degli anni, si sono aggiunte le cose di Ursula. Quando sono arrivata non avevo una vita mia, non avevo mobili, né vestiti. Non avevo niente, solo 23 anni. Mi erano capitate una serie di sventure, di drammi, ma io sono così di natura, non ho bisogno di nulla, e quindi mi sono trovata benissimo a vivere qui, utilizzo quello che mi serve. Questo è un righello di Boris, lo uso quando occorre. Lo stesso con i vestiti di Ursula: aveva la mia stessa taglia, non sono demodé, ora sono vintage. Ci sono ancora abiti di Boris, le scarpe di Prévert, in questa casa si trovano un sacco di cose, è normale. Di tanto in tanto, aggiungo delle cose, come questi diplomi del Collegio di Patafisica di Boris che ho incorniciato. Ursula non voleva che la si chiamasse nonna o tata. Diceva «io sono zio Orso», Boris la chiamava «il mio orso». Anche i miei figli l’hanno sempre chiamata zio Orso. Boris aveva inventato un gioco che si chiamava «L’onclerie – si è sempre zii di qualcuno», è un gioco un po’ complicato, si fa con carta e penna.

Patrick Vian vive a Parigi?

No, nel sud della Francia, è un musicista. Il peso del nome di suo padre è stato per lui piuttosto difficile da portare, ha sempre avuto un gran rispetto e una enorme conoscenza della sua opera, ma non riusciva a esistere per se stesso, e allora si è messo a viaggiare, ha viaggiato, viaggiato…ora ha 72 anni. È stato tra i primi in Francia a creare una band psichedelica, Red Noise, fu fondata alla Sorbona nel 1968 e il primo concerto avvenne nell’università occupata. La band si è sciolta dopo che furono arrestati per un po’ di hashish in Olanda. Era un giovane unico, di grande intelligenza, come suo padre. Mi piace molto parlare con lui, è sottile, ha una gran cultura, conosce un sacco di cose, è un uomo particolarmente sensibile, riservato.

Chi venne per primo ad abitare qui, Vian o Jacques Prévert?

Boris e Ursula arrivarono prima, nel 1953. Con Prévert si conoscevano bene dai tempi di Saint Germain des Prés, nel 1946, frequentavano il Café de Flore e Les Deux Magots, dove Simone de Beauvoir scriveva, ma Prévert già frequentava quei posti, faceva parte di un’altra generazione, era più vecchio di Boris di 20 anni. Venne ad abitare qui con la sua compagna e la figlia. Quando Boris morì, nel giugno 1959, Ursula sprofondò nel buio, per un paio di anni, e Prévert l’aiutò parecchio.

E sul terrazzo in comune che succedeva? Feste, cene?

No, si incontravano in terrazzo per commentare articoli di giornale, per discutere di arte. Erano due spiriti che si incontravano, ma preservavano la loro intimità. Entrambi erano molto riservati, e latini. Vian pare avesse origini italiane, piemontesi, i Viana, ma aveva anche un lato germanico, parlava correntemente il tedesco – è una cosa che pochi sanno – e non a caso ha sposato Ursula, una svizzera tedesca, nata a Zurigo. Con Prévert parlavano tanto, ma poi ciascuno aveva la sua vita, e la loro esistenza privata non era affatto facile. Boris aveva parecchi problemi con suo figlio, ma quelli di Jacques con la figlia erano enormi. A me è toccata la triste sorte di doverla seppellire, eravamo molto amiche, e più tardi lo stesso con quella di Vian.

Che ne pensi del film di Michel Gondry «L’Écume des jours»?

Vi ho partecipato direttamente, ho lavorato con Michel Gondry per diversi anni. Il progetto è nato nel 2007, poi ci sono voluti 5 anni per trovare gli attori giusti, la produzione e iniziare le riprese. Penso sia un film molto vicino alla realtà di Boris Vian, ma Michel Gondry ha spiegato bene che questo è il suo film, non ha cercato di girare qualcosa che forse avrebbe voluto fare Boris Vian. È stato un film molto difficile, anche perché Michel Gondry non ha mai dimenticato che Vian è morto in un cinema..

Pensi sia leggenda o verità il fatto che Boris Vian sia morto stroncato dalla bruttezza del film tratto dal suo romanzo «Sputerò sulle vostre tombe?»

Boris era malato di cuore dall’età di 12 anni, ma credo che il film abbia certamente contribuito. L’ho visto, è veramente brutto, non ha mai avuto alcun successo, è totalmente lontano dallo spirito di Vian. Lo ha diretto Michel Gast, con il titolo Il colore della pelle. Il produttore era un certo monsieur Gaston e poi si è scoperto che questo Gaston era lo stesso Gast. Boris Vian, fin dall’inizio, ebbe parole terribili sia per il produttore che per il regista, ma non si incontrarono mai. Capì da subito che la loro idea era lontanissima dallo spirito del suo libro. Vian avrebbe voluto un film girato negli Stati Uniti, con una vera conoscenza della cultura di quel paese, mentre questo fu girato nel sud della Francia, con un’attrice italiana e un attore francese. Le scenografie sono fasulle, non è un buon film, il pensiero di Vian è stato distorto, manipolato. C’è da aggiungere che Boris non ne poteva più di Sputerò sulle vostre tombe. Ne aveva fatto un adattamento cinematografico e non era andato bene, col romanzo anni prima aveva avuto tanti problemi con la giustizia, e ora i problemi si ripresentavano. Nel 1958, anno in cui prese corpo il progetto di questo film, Vian era gravemente ammalato, aveva avuto due edemi polmonari, che sono spesso legati alle malattie del cuore, e non di rado portano alla morte. Boris nel 1958 era prostrato, come se avesse ormai i giorni contati. Era stufo di questa storia del film e non credeva quasi più a nulla. È a questo punto che il Collegio di Patafisica l’ha molto aiutato e gli ha dato l’energia per continuare a vivere. A una rappresentazione della sua pièce teatrale L’Équarrissage pour tous (Lo squartamento per tutti) in sala vi erano anche due patafisici, che si son detti: «questa pièce è patafisica pura!». Invitarono Vian a unirsi a loro e crearono per lui un apposito titolo: «Grande Squartatore».

La casa è piena di immagini di fantascienza…

Vian adorava la fantascienza, è stato tra i primi a far conoscere la fantascienza americana in Francia. Ha tradotto molti racconti, due grandi romanzi di A.E.Van Vogt, Le monde des à e Les jouers du Ã. e Demain les chiens di Clifford D. Simak (in Italia Anni senza fine, ndr.). Allora la fantascienza era considerata male. Ogni volta che Ursula andava negli Stati Uniti – danzava a Broadway – gli riportava pile di «pulp» di fantascienza. Uno dei motivi che mi hanno portato in questa casa è che da giovanissima anch’io amavo molto la fantascienza e continuo a leggerla – Solaris di Stanislaw Lem è tra i miei preferiti. Ti racconto una cosa molto personale ma che mi tocca profondamente: mio figlio ha 14 anni e mezzo, e non so come è successo, perché non è nel suo carattere, si è messo a scrivere un libro e un giorno mi ha chiesto se volevo leggerlo: aveva scritto 110-120 pagine ed era un romanzo di fantascienza!

Quando sono arrivata qui avevo solo una borsetta, e la mia testa. Mi sentivo completamente libera, non dovevo telefonare a mia madre, né preoccuparmi di dove mettere le scarpe, non avevo niente, ero seduta a questo tavolo e Ursula era là di fronte. Riordinavo le carte, scrivevo a macchina, preparavo lettere da spedire, lavavo per terra, facevo di tutto, in questa casa tutti sapevano fare un sacco di cose. Nel 1981 Ursula con monsieur d’Déé ha creato la «Fondazione Boris Vian» di cui d’Déé è presidente. Monsieur d’Déé è uno scrittore, architetto d’interni, ha 87 anni, ha conosciuto benissimo Boris, è stato in questa casa con me ed Ursula per trent’anni e, guarda caso, tutti e tre abbiamo lasciato la scuola a 15 anni, per ragioni differenti. Ursula veniva da una famiglia borghese e danzava; Monsieur d’Déé ha avuto una vita terribile, è arrivato a Parigi nel 1945 e dormiva sotto i ponti, era il miglior ballerino di be-bop di Saint Germain des Prés, è originario della Martinica, suo padre è morto sotto tortura in un campo di concentramento, era comunista e nero, due ottime ragioni per essere ucciso. Io provengo da una famiglia proletaria e all’epoca era impensabile che proseguissi gli studi. Ho cominciato a lavorare molto presto, in un ospedale psichiatrico a Parigi. Non serviva un diploma e io volevo lavorare tra i matti.

Quanto è conosciuto Boris Vian?

Il boom è iniziato nel 1962, quando dopo tanti anni è stato ripubblicato La schiuma dei giorni – quando Vian era vivo il libro non ebbe alcun successo – L’Erba rossa, alcuni pezzi di teatro e per la prima volta il poema Je voudrais pas crever. Il successo fu enorme e continuò negli anni fino all’esplosione nel 1968. I giovani dicevano «questo Vian ha capito tutto della nostra società», il lavoro, gli studi, la vita, la morte, principi filosofici che Vian esprimeva im maniera utopistica e umoristica, ossia patafisica. Poi c’è stata una seconda ondata negli anni ’70, quando l’editore Christian Bourgois ripubblicò Sputerò sulle vostre tombe. Christian si è molto speso per la diffusione della sua opera. Veniva dall’«École nationale d’administration,» quella che sforna i ministri, ma lui volle fare l’editore e pubblicare Vian. Negli anni ’80 è stata pubblicata praticamente tutta la sua opera. Tra gli anni ’80 e il 2000 sono balzate in primo piano le sue canzoni. C’è un italiano che conosce tutta l’opera di Vian e ha pubblicato due dischi, Gilberto Monti. Negli ultimi anni, infine, la sua produzione è diventata anche multimediale, dvd, internet etc.

E dietro tutto questo ci siete voi e il vostro lavoro…

Sì, ma poi ho anche la mia vita, danzo, suono jazz, mi sposo, ho due figli…

Vian è ancora uno scrittore per una élite di lettori?

In Francia assolutamente no, è uno scrittore popolare, viene letto a scuola. In questa casa vengono spesso gruppi di ragazzi, non solo francesi, di tutte le classi sociali. È bizzarro ma ci sono dei paesi che sono refrattari all’opera di Vian, l’Italia ne fa parte, da voi è stato tradotto molto male. Io non parlo bene l’italiano, ma da quello che ho potuto vedere, e da quello che mi hanno detto, è una catastrofe.

Nel 2010 tutta l’opera di Vian è stata pubblicata dalla Pléiade…

Sì e nel 2011 alla Biblioteca Nazionale c’è stata una grande esposizione su Vian, in ritardo di due anni – la burocrazia – per ricordare il 50° della sua morte. Io sono stata presa come consigliere scientifico, non avendo un titolo di studio non potevo essere nominata curatrice dell’esposizione. In quell’occasione è uscito il mio PostScriptum Boris Vian, dopo aver tanto lavorato sui suoi manoscritti, aver visto i suoi disegni e i quadri, avevo voglia di mostrarli a tutti.

Hai pubblicato altri libri…

Il primo è stato Boris Vian, le swing et le verbe, con François Roulmann. Credo di essere l’unica persona ad aver letto tutto Vian direttamente dai suoi manoscritti, 23mila pagine. Poi D‘ou viens-tu Boris? che racconta della sua famiglia, l’infanzia a Ville d’Avray e in Normandia…guarda che coincidenza straordinaria: con tutta la famiglia, suo padre, sua madre, i fratelli, Boris ogni estate va in vacanza in una piccolo paese sul mare, Landemer in Normandia, vicino a Cherbourg. Nel 1934, per caso, Jacques Prévert va proprio da quelle parti a cercarsi una casa e la trova a 5 km da Landemer, nel paesino di Omonville La Petite. Prévert è sepolto là. D‘ou viens-tu Boris arriva fino al 1939 quando Boris entra nella École centrale e c’è la dichiarazione di guerra. Ora sto lavorando sul decennio 1939-1949 che sarà in 2 volumi perché sono veramente tante le cose che succedono, i suoi studi, la guerra, l’incontro con gli americani…Per fare questi libri, mi servo di tutto quello che c’è in casa, dopo 30 anni che vivo qui ho messo tutto su computer e ho tutto anche in testa, so esattamente dove e cosa cercare. Ho anche la possibilità di mostrare per la prima volta un Vian inedito: Patrick mi ha lasciato le agende di Boris, con annotate le sue attività quotidiane… non si fermava mai.

Come erano i rapporti tra Vian e Sartre?

All’inizio piuttosto buoni, Boris era una persona intelligente, comprendeva l’esistenzialismo, il pensiero e i libri di Sartre, ma quel tipo di linguaggio non gli apparteneva. Poteva discutere con Sartre, con Merleau Ponty, ma poi prendeva la sua tromba e suonava e scherzava. La schiuma dei giorni piacque molto a Sartre, anche se viene preso in giro nel personaggio di Jean Sol Partre. Vian aveva compreso quanto Sartre fosse importante nel pensiero intellettuale e filosofico dell’epoca, ma lo descrive divertendosi, e questo a Sartre piacque perché anche lui era una persona che amava divertirsi, fumare, bere, frequentare le donne… tutto questo è ben noto. Poi la moglie di Boris, Michelle, finì nel letto di Sartre e si creò una frattura. Non è che Vian fosse geloso, ma è stato un insieme di cose… trovava la situazione perlomeno bizzarra, con tutta quella gente che si prendeva così sul serio, il comunismo, la guerra fredda…

Vian amava molto Camus ma a questo punto iniziò a trovarlo noioso, triste, pretenzioso, mentre i suoi pensieri volavano sempre sulla cresta di un’onda, la schiuma dei giorni. Quando la guerra finì la gente era triste, seria, e Vian si avvicinò allora a Raymond Queneau, anche lui un patafisico. A Vian piaceva molto anche Marcel Aymé, che aveva scritto Le passe-muraille, un racconto su un impiegato che scopre di poter passare attraverso i muri.

Ho fatto visita alla tomba di Boris Vian a Ville d’ Avray…

Anche i genitori e sua figlia Carol sono sepolti là. Il padre di Boris non ha voluto ci fosse alcun nome sulla tomba. Ogni tanto qualcuno vi depone poesie, disegni, foto, e io – che ne sono diventata la responsabile – quando vado a visitarla, la ripulisco. Per trovarla, bisogna chiedere al guardiano del cimitero, ma non c’è sempre.

 

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