Al centro di Whale, incantevole romanzo dello scrittore coreano Cheon Myeong-kwan, da poco pubblicato da edizioni e/o per la traduzione di Rosanna De Indicibus (pp. 400, euro 19.50), si muovono tre figure femminili, ognuna magica, ognuna dolce e cattiva a suo modo, ognuna estremamente realistica e al contempo fiabesca. Sono Geumbok, una donna molto tenace, di grande immaginazione e ambizione che insegue nel tempo l’emozione provata quando ha visto per la prima volta il dorso di una balena nell’oceano; sua figlia Chunhui, che è muta, ma perfettamente in grado di comunicare con gli elefanti e solo con loro; e, infine, una donna con un occhio solo che con il fischio è capace di controllare le api. Tre donne e tre tipi di animali, tre o più linguaggi che si fondono e aprono mondi che spostano il campo dell’ordinario in quello dello straordinario rendendolo, finalmente, raccontabile.

IL ROMANZO è ambientato in uno sperduto villaggio della Corea del Sud, e da lì, attraverso il movimento dei personaggi verso il futuro, le tre donne e poi tutto il coro, l’autore ci racconta come sta cambiando, come è cambiato il suo paese, come è cambiata la popolazione.
«Una creatura eterna in grado di sconfiggere la morte», così Geumbok descrive la balena, la sua ossessione e ci sono tratti della storia in cui sembra quasi poter raggiungere quell’ideale, prosperando grazie alla sua intelligenza e fascino, ergersi anch’essa a figura eterna. L’autore tesse la sua trama attraverso uno stile grottesco, molto divertente, che passa dal registro comico al sadico nello spazio di due frasi, ma il bello è quando il comico e il sadico vanno a braccetto, quasi sovrapponendosi. Nelle vicende narrate si trovano echi del cinema coreano, del realismo magico, e – forse ancora di più – dei racconti russi, addirittura delle fiabe russe, anche tra queste pagine, come accade per quella tradizione, una casa potrebbe mettersi a girare tre volte su sé stessa. In Whale, per esempio, accade che una donna venda sua figlia a un viaggiatore in cambio di un paio di barattoli di miele. In pieno inverno nasce una bambina di quindici chili e viene chiamata Chunhui, che significa «donna della primavera», sarà lei poi a comunicare solo con gli elefanti. E poi squarci di luce, ristoranti fatiscenti che rivelano tesori nascosti, tempeste leggendarie, anche se ci si domanda: «Quanto è credibile una storia che gira il mondo passando di bocca in bocca?».

CHEON MYEONG-KWAN, con Whale è finalista per il Booker Prize 2023, è la seconda pubblicazione del romanzo, che è stato edito nel 2004 per la prima volta, e comunque fino a ora mai tradotto in italiano. L’autore è anche sceneggiatore cinematografico e qualcosa di quella tecnica si avverte, come quando si anticipa un evento destinato a chiudere un’azione. Dal mondo del cinema paiono arrivare anche le immagini che saltano fuori dalle pagine colpendo con colori e odori, sfidiamo la lettrice o il lettore a provare a sentire l’odore forte del pesce essiccato, oppure a tentare di toccare i mattoni artigianali. Un romanzo familiare e universale, folle ma anche commovente, che ha il sapore di una preghiera, quelle che sono in grado di recitare anche i non credenti, rivolgendosi a strane figure, ricordi senza tempo, persone che dirigono le api come se fossero un’orchestra, agitandole con un fischio. Chi non vorrebbe pregare come se fosse una madonna o una rockstar la bambina che è in grado di comunicare con gli elefanti?