Chelsea Manning, la ventottenne transgender che sta scontando 35 anni di carcere per spionaggio, ha affidato ad un comunicato pubblicato sul sito chelseamanning.org, una richiesta di garanzie scritte per poter ricevere la cura necessaria «prescritta dal medico per la mia disforia di genere».

Chelsea è in carcere per aver fornito a Wikileaks migliaia di pagine di documenti militari classificati americani, dove si mostrava come gli Usa in Iraq avessero come target anche obiettivi civili; da quei leaks gli Stati Uniti ne erano usciti a pezzi.

L’identità della whistleblower era stata resa pubblica da Adriananan Lamo ,«amico» di Manning, a cui l’ex analista di intelligence aveva rivelato le proprie scoperte, l’intenzione di renderle pubbliche ed anche i propri problemi con l’identità di genere.

Da quando è in carcere Chelsea chiede che questa disforia di genere, che le è stata riconosciuta, venga curata tramite terapia ormonale. «Ho chiesto aiuto. Non l’ho ricevuto. Ho bisogno di aiuto», ha scritto su Twitter dal carcere.

Questa richiesta arriva a poco più d un mese da un tentativo di suicidio per il quale Manning ha rischiato di finire in isolamento per anni e da cui è stata salvata grazie ad un fiume di richieste e di petizioni fatte arrivare a chiunque avesse potere decisionale. La vita di Chelsea in carcere è molto dura: le autorità hanno instaurato con lei una guerra psicologica facendo leva proprio sulla disforia di genere, ad esempio impedendole di farsi crescere i capelli oltre i 5 cm.

Ci vuole poco spezzare la voglia di vivere di una persona fragile e vulnerabile ed è ciò a cui evidentemente stan puntando. «A partire dalle 12:01 del 9 settembre 2016 e fino a quando non vedrò rispettati gli standard minimi di dignità, rispetto e umanità, mi rifiuto di tagliare o accorciare volontariamente i capelli; consumare cibo o bere, fatta eccezione per l’acqua e i farmaci prescritti, e rispettare le norme, i regolamenti, le leggi e gli ordini che non sono legati alle due cose che ho menzionato» ha scritto nel comunicato.