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Chef Binta, cucina nomade

Chef Binta, cucina nomadeFonio Salad preparata da Chef Binta (ph Manuela De Leonardis)

Intervista Fatmata Binta, della Sierra Leone, è ambasciatrice del gusto e della tradizione culinaria dell'etnia fulani

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 17 dicembre 2022

Il profumo degli ingredienti (menta fresca, basilico, coriandolo) precede la vista e il gusto nella Sala delle Colonne del Palazzo delle Arti e Tradizioni Popolari – Museo delle Civiltà di Roma. Allineate sul tavolo, le altre ciotoline di metallo contengono anacardi, mango, pomodorini e uvetta che Chef Binta (Fatmata Binta, Sierra Leone 1984, vive e lavora ad Accra, Ghana) mescola con il fonio per la preparazione della sua «fonio salad». La creatività della sua cucina nasce all’interno della tradizione dell’etnia fulani a cui appartiene, la più grande comunità nomade africana con una popolazione di oltre 20 milioni di persone dedite prevalentemente alla pastorizia. Una tradizione che lei considera «dinamica». Riformulare le tradizioni. Innovazione Culinaria come Patrimonio Culturale Immateriale, a cura di Johanne Affricot, Eric Otieno Sumba (assistente curatoriale Lea Ramaswamy) è l’evento che l’ha portata recentemente a Roma nell’ambito del progetto di cooperazione culturale del Museo delle Civiltà con il Musée des Civilisations Noires di Dakar. Prima chef africana a ricevere il Basque Culinary World Prize nel 2022, Chef Binta ha destinato i fondi del premio per la realizzazione della Fulani Kitchen Foundation con cui è messaggera di una «narrazione della differenza» poco incline alla nostalgia ma che, piuttosto, guarda alle criticità dell’alimentazione di oggi proponendo soluzioni alternative e sostenibili con gli «ingredienti magici» che appartengono alla tradizione culinaria fulani. Tra questi il fonio (digitaria exilis), cereale senza glutine ricco di vitamine e proteine, antico di 7mila anni, facile da coltivare con poca acqua che si raccoglie in poche settimane e il dawadawa, semi di carruba africana usati per la preparazione di zuppe e stufati.

In che modo la Fulani Kitchen Foundation e le tue cene Dine on a Mat (letteralmente «cenare su una stuoia») riflettono la tradizione nomadica del popolo fulani?
Mi piace definire la cucina fulani coraggiosa. Una cucina dai sapori poveri che è anche molto sostenibile, come lo è il modo di vivere di quest’etnia che è sempre in viaggio. Siamo un popolo minimale e questo si riflette nella cucina. Alleviamo il bestiame per il latte più che per la carne che vendiamo alle popolazioni locali. Essicchiamo la maggior parte degli ingredienti, inclusa la carne di manzo che è più facile da portare durante gli spostamenti da una comunità all’altra, ma fondamentalmente è a base vegetale. Ho chiamato la fondazione Fulani Kitchen per rappresentare e celebrare la cucina con cui sono cresciuta. Ho viaggiato molto tra le diverse comunità per apprendere le ricette originali, traendo ispirazione direttamente da ciascuna. La mia fondazione è una piattaforma per la conoscenza immediata della cultura fulani, mentre il ristorante nomade riflette lo spirito stesso di questo popolo in movimento.

Sei una sostenitrice dell’utilizzo del fonio, ingrediente basilare della cucina fulani. Quali sono le sue caratteristiche?
Sì, il fonio è un ingrediente basilare, ma mangiamo anche molti altri cereali secchi insieme a prodotti freschi. Facciamo il nostro formaggio e beviamo molto latte, usiamo anche molte verdure che raccogliamo o coltiviamo. Fondamentalmente la cucina fulani, rispetto a quella dell’Africa occidentale in generale, è basata sull’essiccazione della maggior parte degli ingredienti e sulla produzione di quelli a base vegetale. Non mangiamo molta carne. Invece, in genere in Africa se ne mangia molta. Quando ci insediamo in un luogo collezioniamo tutti gli ingredienti di cui abbiamo bisogno. Nella comunità di fulani ci sono nomadi che si spostano costantemente ma anche semi nomadi che si muovono una o due volte l’anno, in base alle necessità della pastorizia, quando l’erba è ricresciuta. Poi ci sono quelli stanziali che decidono di fermarsi in un luogo. Io attualmente mi considero stanziale ma la mia famiglia, fino alla generazione precedente ai miei genitori, era nomade. Mio padre e mia madre decisero di stabilirsi in Sierra Leone, dove sono nata e cresciuta, ma ho trascorso molto tempo nelle comunità in Guinea dove andavo in vacanza. Il mio amore per la cultura culinaria e la mia stessa filosofia come chef nasce proprio da quest’esperienza.

I tuoi genitori provengono dalla stessa comunità?
Sì. La cultura fulani è molto unita e c’è una forte volontà nel preservare le tradizioni, anche per questo nella maggior parte dei casi ci si sposa all’interno della comunità.

I fulani vivono in diversi paesi dell’Africa occidentale è come se non ci fossero confini per loro…
Non solo in Africa occidentale anche in quella centrale, ma direi più in generale in Africa perché si stanno spostando rapidamente anche verso la Namibia. Ci si muove in base alla pastorizia e il fatto che si oltrepassino i confini può creare molti problemi. Ci sono molti preconcetti nei confronti dei fulani, anche per questo la mia fondazione vuole dar vita ad una diversa narrativa. Nelle loro migrazioni, i fulani si spostano da un paese all’altro e quando s’insediano rimangono per conto loro, fuori dalle comunità autoctone. Uno dei problemi è che quello dell’invasione di bestiame che può creare problemi molto seri causando anche scontri.

Ci sono anche questioni religiose perché i fulani sono musulmani…
Per il 95% sono musulmani, solo una minima parte è convertita al cristianesimo.

Qual è il rapporto tra tradizione orale dei fulani e la cucina?
Le storie non sono scritte ma narrate di generazione in generazione. Molte sono legate alla religione, al Sacro Corano, così come alle nostre tradizioni culturali. Il modo in cui celebriamo i matrimoni, le nascite o altre cerimonie, inclusi i funerali. Il cibo è legato a questi rituali ma non si scrivono le ricette. Solo oggi noi moderni chef scriviamo ricette e facciamo molto blogging.

Tradizioni che sono affidate prevalentemente alle donne…
Sì, sono le donne della comunità fulani a tramandare le tradizioni. Donne che non sono andate a scuola ma che hanno trovato nelle tradizioni, dal cibo al modo di vestire, il modo per esprimere se stesse, occupandosi della casa, della famiglia e delle relazioni con gli altri. Sicuramente sono stata molto ispirata dal lavoro di queste donne.

Hai studiato cucina al Kenyan Culinary Institute di Nairobi in Africa orientale, com’è stata quest’esperienza?
Avevo fatto l’applicazione per un programma svizzero che aveva appena aperto un nuovo campus a Nairobi, il Kenyan Culinary Institute e pensai che potesse essere una buona occasione frequentarlo. Ero molto eccitata ma anche un po’ scettica, essendo cresciuta in Africa e conoscendo la sua cucina, ma è stata una bellissima esperienza. Intanto il Kenya è un paese molto bello, uno dei miei preferiti. L’Africa orientale è molto diversa da quella occidentale, come lo è la cucina che è molto più speziata perché influenzata dalla cucina indiana. Penso che il mio modo di cucinare fusion nasca proprio da quest’esperienza.

Quali sono le ricette tradizionali della cucina fulani che reinterpreti?
La ricetta più diffusa è il latchiri en kossan. Se vai in una comunità fulani e ti viene offerto questo piatto vuol dire che sei calorosamente benvenuto (sorride). Si prepara schiacciando i chicchi di mais tostati, setacciando la polvere che viene cotta lentamente al vapore in una grande pentola – come per il couscous – a cui si unisce il latte in polvere o quello fresco di mucca con lo zucchero.
Ho due interpretazioni per questa ricetta, in una aggiungo «superalimenti» africani come la polpa di baobab o la moringa, l’ibiscus con lo zenzero candito, i fiocchi di cocco… è un matrimonio di diversi ingredienti.
Altre volte preparo il gari (cassava flakes) con la farina di manioca, una pietanza che si mangia in diverse parti dell’Africa ed è preparata in modi diversi, può essere dolce o salata. Anche in questo caso aggiungo altri ingredienti in maniera creativa.

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