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Che discorso fanno due presidenti delle camere postfascisti

Che discorso fanno due presidenti delle camere postfascistiIl discorso alla camera di Lorenzo Fontana – LaPresse

L’analisi Un discorso che porta alle estreme conseguenze il senso comune nazionalista prodotto da centro, centrosinistra e centrodestra

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 16 ottobre 2022

Due postfascisti. Il primo ha un passato prossimo fascista, il secondo – già ministro nel Conte I – ha appoggiato pubblicamente i neonazisti di Alba Dorata definendoli guerrieri. Che discorso fanno due presidenti delle camere post-fascisti? Un discorso che porta alle estreme conseguenze il senso comune nazionalista prodotto da centro, centrosinistra e centrodestra.

Fontana, ha ripetuto diverse banalità da uomo delle istituzioni che supera le parzialità che vanno composte nella assemblea legislativa. Il parlamento deve riconquistare margini di azione contro la decretazione d’emergenza del potere esecutivo – e, intuiamo, contro l’espropriazione di sovranità da parte di organi sovranazionali e poteri oscuri.

Dietro Fontana, c’è il fantasma del discorso sostanzialmente antisemita dell’antiglobalismo di destra. Così verrebbe da interpretare le sue parole, alla luce di quanto andava dicendo fino a poco fa, mettendo insieme, ad esempio, problemi demografici e piani di sostituzione etnica. La diversità di cui ha parlato rovescia quella attribuita a stranieri e “teorici gender” in una distopia comunitaria. La diversità italiana è unica e va preservata, secondo la logica del razzismo differenzialista e culturale, contro altre costruzioni valoriali “omogenizzanti”, “monolitiche” che negano il diritto alla differenza. Conviene a tutti che nessuno si sposti dal paese dove gli è capitato di nascere.

Similmente, ma non del tutto, oltre ai probabili voti dell’estremo centro liberale, La Russa ne ha ripreso i temi, a lungo presenti nel dibattito pubblico e istituzionale. Anzitutto, l’interventismo umanitario, che passa per la glorificazione delle forze armate e dell’ordine. I soldati portano la pace “in punta di fucile”. Correlato del complesso militare-industriale, è l’apparato umanitario. In quest’ottica anche un ex dirigente del Msi può dirsi disposto ad accogliere, non solo i profughi ucraini, ma “tutti i profughi” in fuga dalla guerra. Che vanno accolti – selettivamente – “con onore”. Nella melassa sulla storia patria “condivisa”, La Russa rifonda le origini della comunità a partire dal Regno di Italia. Nella sua ricostruzione delle origini della comunità nazionale – costante problema per chi voglia incarnare il popolo -, fascisti e antifascisti pari sono. Tatarella, Msi, vale così quanto il partigiano Pertini. Egualmente, Fausto e Iaio si equivalgono con Ramelli. Non come vite spezzate in gioventù, ma perché le loro scelte di valore sono neutre rispetto alla storia nazionale (e non repubblicana). In questa prospettiva, la violenza gioca un ruolo strategico. Solo quella legittima dello stato – in qualunque intensità e forma – è accettabile. Quella della società – e dell’economia – va amministrata evitando che ricada su donne e bambini – e disabili ha aggiunto Fontana. Nessuna parola per omosessuali, transgender e persone oggetto di razzismo o antisemitismo. Ovviamente. C’è spazio anche per un’apparente sensibilità al tema del lavoro povero e delle morti bianche, in particolare dei giovani, nel discorso di entrambi i post-fascisti.

Il patriottismo è il secondo tema. Il soggetto che Fratelli d’Italia e Lega – parzialmente post-autonomista – si candida a rappresentare è la nazione (o delle piccole patrie, i “territori”). Famiglie, imprese, terzo settore e cittadini, questa la composizione, secondo La Russa, della comunità nazionale alla quale bisogna garantire “sicurezza, benessere e dignità”. C’è poi l’annessione di valori universali come la solidarietà, o “qualità” come l’“ingegno” e la “creatività”, come specificamente italiane – pratica che ogni classe dirigente liberale e di centro compie, a diverse latitudini, nella costruzione del “nazionalismo banale” quotidiano. Un soggetto privo di qualità intrinseche come la comunità nazionale ha bisogno di argomenti per essere tenuto insieme e performato.

Tutte le caratteristiche positive, attribuite, a seconda dell’esigenza, a qualche evento storico o essere umano transitato o nato nel paese, diventano per estensione un valore collettivo transistorico. Le più generali sfide contemporanee, in continuità con il discorso efficientista e tecnocratico che ha dominato il campo politico, vanno gestite in funzione della velocità – delle merci, dei capitali, dei flussi tecnologici. In tal senso va riformata la seconda parte della Costituzione.

Certo la condivisione formale delle parole di Segre da parte dell’ex missino rientra in parte in un’altra storia ormai antica. L’uso di Israele e della parte più conservatrice delle comunità ebraiche italiane – con cui Segre non c’entra nulla, chiaramente – come dispositivo di legittimazione dell’estrema destra di governo. In quanto amici di Israele – e degli ebrei, secondo questa logica -, l’estrema destra non è razzista. Le astrazioni del
“filosemitismo” sono il rovesciamento dell’antisemitismo. Anche se Segre ha fatto un discorso chiaramente antifascista, i postfascisti – in quanto amici di Israele contro gli arabi – possono fingere che anche una vittima del nazifascismo sia loro alleata.

Il pericolo del postfascismo che viene sta nell’aver usato i termini e le ragioni dell’“estremo centro”, radicalizzandone le conseguenze. L’opposizione dovrà fare un serio lavoro di ripensamento dei propri programmi e delle proprie pratiche politiche. Altrimenti, oltre che di forza, mancherà di parole.

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