«Per me, per la mia famiglia e per non danneggiare il governo». Con questo ordine di fattori Paolo Signorelli ha motivato le sue dimissioni da portavoce del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. Una decisione che arriva a urne europee chiuse. Alla vigilia, quando era uscita la notizia delle sue chat con il capo ultrà dell Lazio e narcotrafficante ucciso nel 2019 Fabrizio «Diabolik» Piscitelli, Signorelli aveva optato per l’autosospensione, qualsiasi cosa volesse dire.

I suoi datori di lavoro un po’ ovviamente lo giustificano e gridano all’agguato mediatico. E un po’ si dissociano. «Non ero a conoscenza delle sue affermazioni», ha tenuto a dire Lollobrigida nei giorni scorsi. Le affermazioni in questione, finite nel fascicolo dell’indagine sull’omicidio di Piscitelli, sono un insieme di antisemitismo, apologia del terrorismo, racconto di riti pagani e svariate altre amenità. Paolo Signorelli, nipote omonimo dell’ex Nar, in passato aveva svolto il ruolo di portavoce per il capogruppo di Fdi alla Camera Tommaso Foti e per il candidato sindaco di Roma Enrico Michetti. Adesso, a dimissioni avvenute, dalle parti della destra italiana i toni sono ancora più alti dei giorni scorsi.

«Signorelli è una persona responsabile. Il paradosso è che l’attacco arriva da un quotidiano (Repubblica, ndr) che per decenni ha ospitato gli scritti di un giornalista, Adriano Sofri, condannato per essere il mandante dell’omicidio Calabresi», denuncia Tommaso Foti, lamentandosi anche della pubblicazione di intercettazioni che, a suo dire, dovevano essere distrutte. Lollobrigida, dal canto suo, si sente sotto assedio, oltre che privato di «un collaboratore prezioso».

«Paolo si è dimesso per non alimentare ulteriormente il tritacarne nel quale era finito – così scrive in un post di Facebook intitolato “L’odio, la penna e la matita” -. Persino nelle chat della scuola dei suoi figli… perché ha chiaro che attraverso lui si voleva colpire il governo…». Il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano per commentare la vicenda sceglie invece di evocare la Cambogia di Pol Pot, argomento che ritiene di stringente attualità: «Non ho sentito una parola sui gulag o sui khmer rossi.

Nell’aprile del 1975, i Khmer rossi iniziano un vero e proprio genocidio di due milioni di individui, solo perché venivano da una civiltà industriale. Massacrati in nome del comunismo. A dettare l’agenda delle notizie voglio essere io. Per me, la notizia di oggi è il massacro di queste persone, a cui noi dobbiamo dedicare la nostra memoria». Dal Pd risponde con una battuta Andrea Orlando. «Quello che mi colpisce – dice – è la tempestività con cui Sangiuliano segnala una notizia, assolutamente terribile, ma del ’75. Soprattutto perché lo fa uno stimato professionista dell’informazione». Il ministro, infatti, prima di lanciarsi in politica ha avuto una lunga e proficua carriera giornalistica, arrivando anche alla direzione del Tg2